Parlare con Stefano Esposito (senatore Pd, ferreo paladino Sì-Tav) di “lancia­fiamme” – ci permetta la garbata ironia – significa un po’ invitarlo a nozze. Ma il commissario del Pd a Ostia, ritenuta area nevralgica di “Mafia Capitale”, praticamente il numero due del commissario dem a Roma, Matteo Orfini, non è, per sua stessa ammissione “renziano o anti-renziano”. E’ “espositiano”. Appartiene alla stessa area del presidente del Pd Orfini: i Giovani Turchi. Esposito, viene dal Pci, scuola “migliorista”. E obbedì, per disciplina di partito, come un soldato quando Matteo Renzi lo mandò di fatto a commissariare l’assessorato ai Trasporti della giunta Marino.
Senatore Esposito, ma che succe­de? Renzi ha detto che dopo i ballottaggi entrerà a Largo del Nazareno “col lanciafiamme”. Le sembra il caso, dal momento che la situazione è già bella che infuocata? Ce lo spieghi lei che ormai può essere definito renzia­no.
Io intanto sono me stesso, se vuo­le definirmi espositiano, vabene. Ma appartengo, anche se ho 47 anni, a quella generazione che vi­ve il partito come una casa.
Dove usare “il laciafiamme”?
Per la verità io questa cosa la dico da circa due anni.
Ma al di là del senso ovviamente metaforico dell’espressione, non le sembrano parole un po’ troppo forti?
No, e comunque Renzi non ha detto contro chi usare il lancia­fiamme.
Scusi anche i bambini hanno ca­pito che si riferisce all’opposizio­ne interna. O no?
No, non credo. Mi sento di esclu­dere che si riferisse alla minoranza. Io credo che lui abbia voluto lanciare un messaggio politico molto chiaro. E cioè: ho capito di aver probabilmente commesso er­rori sul partito, e se incomincia­mo a usare il lanciafiamme a Na­poli credo che nessuno avrebbe da ridire, o se mettete finalmente le mani nelle situazioni locali nelle quali più che un partito ci sono dei clan…
Si riferisce a Roma?
A Roma il lanciafiamme lo ha già usato Orfini. Nella Capitale il commissario e presidente del Pd è stato chiamato ad affrontare una situazione drammatica che ha vi­sto il partito coinvolto in Mafia Capitale. La cosa singolare è che invece di riconoscere a Orfini di aver ripulito il partito, di averlo rimesso in condizione di mettere la faccia fuori, c’è la tendenza a far finta che questo lavoro non sia stato fatto. E a far dimenticare che quelli che hanno gestito il partito prima di lui lo hanno ridotto co­me lui lo ha trovato.
Ma non le pare strano che Rober­to Giachetti al primo turno sia arrivato primo ai Parioli e al cen­tro e invece sia andato male nelle periferie? Seppur per carità, an­che il Pei di Enrico Berlinguer sfondò proprio nella borghesia ma era fortissimo a cominciare dalle borgate.
Questa purtroppo è una questio­ne molto seria sul Pd, la sua natu­ra e il ricambio che ha avuto an­che in termini di pezzi di società. Questo fenomeno era già iniziato. E comunque è un segnale che le elezioni ci danno. Il voto serve a capire anche laddove si ha sba­gliato. Ma io credo Renzi lo abbia capito e il fatto che abbia detto che intende usare il lanciafiamme significa che lo vuole adoperare contro gli errori…
Perdoni, senatore, ma certe paro­le non rischiano di risultare in sintonia con le tanto da voi vituperate “ruspe” di Matteo Salvini?
Io sono né un renziano né un an­ti-renziano. Ma sono abituato al fatto quando hai una casa comune ed eleggi un amministratore comune, anche se è quello che non volevi tu, ti metti a disposizione perché quel che conta è salvaguardare la casa. E mi dispiace che tanti compagni provenienti dalla mia stessa storia abbiano un po’ invece perso questo afflato e questo tratto culturale. Renzi ha rotto anche alcuni meccanismi di ipocrisia, di linguaggio paludato che non hanno prodotto grandi risultati negli anni passati. Ora si tratta di indirizzare quel lancia­ fiamme sui problemi veri.
Senza “mostrificazioni” di Denis Verdini, che forse ne ha subite fin troppe, non rischiate di restare da soli con lui e il suo uno e pas­sa per cento?
Ma il Pd nato al Lingotto (Walter Veltroni leader ndr) – e io sono ri­masto fermo lì – è un partito che si propone una vocazione maggiori­taria. Sono stufo del fatto che la memoria venga azzerata. Voglio ricordare a tutti quelli che ci par­lano dell’Ulivo che quell’espe­rienza non ha garantito la gover­nabilità del Paese.
Non crede che un problema di esistenza della sinistra esista e che forse anche la stessa opposi­zione di centrodestra se lo pon­ga?
Il  problema della sinistra esiste. Se c’è una cosa sulla quale sono d’accordo con Bersani è che la sinistra esiste in natura. Ma detto questo, la casa della sinistra è il Partito Democratico. Chiedete a Giorgio Airaudo o a Stefano Fassina che dovevano fare sfracelli…. gli elettori che se ne sono andati sono finiti ai Cinque Stelle o nell’astensione. A loro è rimasto il vecchio e stantio zoccoletto du­ro che vale tra il 3 e il 4 per cento.
C’è un problema di rappresentan­za del Pd nella sinistra? Sì, c’è.
Tony Blair seppe tener dentro il suo New Labour anche i duri e puri della vecchia guardia scon­fitta. Può essere un modello?
Sì, infatti. E’ un tema politico che queste elezioni ci segnalano. C’è da fare una riflessione anche da parte di quella sinistra alla quale appartengo io che non si è messa sulle barricate a prescindere. Ma io penso che alla fine il 19 giugno i risultati ci daranno ragione. E confermeranno che non esiste uno spazio extra Pd per la sini­stra.
Il decisionismo non va demoniz­zato, anzi a volte è necessario. Ma non crede che Renzi a volte abbia usato metodi apparsi un pò’troppo brutali?
Renzi ha vinto la partita per la leadership del Pd rompendo vec­chi schemi e ha portato uno stile nuovo che è stato premiato e apprezzato dai nostri iscritti e mili­tanti che lo hanno votato. Al prossimo congresso chi lo ha vo­tato valuterà se quel tipo di ap­proccio richiede cambiamenti ra­dicali e quindi lo manderà a casa; oppure, con gli aggiustamenti che 10  stesso Renzi ha capito siano necessari, deciderà di confermar­ lo.
Il premier intanto è stato fischia­ to all’assemblea della Confcommercio. Come se lo spiega?
Il governo è una partita difficile. Faremo tesoro anche dei fischi.

 


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