Nel suo scoramento, appassionato e coinvolgente, Dario Antiseri denuncia le tante ragioni del perché la straordinaria ricchezza del cattolicesimo italiano non abbia trovato, nell`ultimo ventennio, una rappresentanza politica (Corriere, 9 ottobre). Un disegno definitivamente naufragato nei vari appuntamenti di Todi, e fallito anche perché affondava le sue radici nei limiti di quella cultura politica (direi teologica) intrisa di «neogentilonismo» che, tra le altre cose, non ha investito minimamente nella formazione vera di una nuova classe politica. E con lo sguardo comunque sempre rivolto all`indietro nell`illusione che si potesse ritornare ad una unità politica vecchia maniera. Ora sarebbe perverso insistere. Se guardiamo al presente sembrano passate ere geologiche. Papa Francesco non vuole fare le barricate per difendere i valori non negoziabili, ma cerca di convincere con tutte le sue forze che il tradimento dei valori della persona è senza ritorno per tutti e che un umanesimo comune è la vera sfida postideologica. E per questo serve davvero un partito deì cattolici? O piuttosto la stessa consapevolezza e forza da parte dei credenti impegnati sui vari fronti? L`Italia è da troppo tempo in bilico sull`orlo del burrone economico e morale, e quel che resta della politica e dei partiti non si muove più solo in un quadro postideologico ma ormai postdemocratico. E come potrebbe configurarsi un partito dei cattolici? Là solitudine in cui si trovano a vivere i cattolici che oggi fanno politica, con passione e disinteresse, è ancora più assoluta e totale di quella denunciata da Antiseri. Una grandissima e sconfortante solitudine. Quella di non riuscire a dare ragione delle nostre convinzioni profonde. E non perché i cattolici non abbiano un loro partito. Ma perché, in partibus infidelium da decenni, devono farcela con la forza della loro coscienza, passione e testimonianza. E conquistare i numeri con quella: da «liberi e forti», appunto.

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