Ancora troppe donne vittime di femminicidio e violenza. Ancora soprattutto tra le mura domestiche. Ancora, nella stragrande maggioranza dei casi, per mano di conviventi. Questa la drammatica fotografia scattata dall’Eures secondo cui è di 3 donne uccise ogni giorno la media dei casi segnalati nei primi 10 mesi dell’anno. Numeri cui vanno aggiunti quelli, ben superiori, delle violenze sessuali, abusi, stalking, reveng porn, molestie sul lavoro.

Reati che non subiscono flessioni e che le condizioni di vita dettate dall’esigenza di contenimento della pandemia hanno purtroppo addirittura contribuito a incrementare. Costrette all’interno della dimensione esclusivamente domestica, soprattutto nei mesi di lockdown totale, molte donne hanno scontato la convivenza forzata con il loro partner maltrattante e la difficoltà a chiedere aiuto, a rivolgersi all’esterno, nonostante iniziative meritorie come il numero 1522 o la app della Polizia di Stato YouPo

E nonostante, è importante sottolinearlo, i tanti interventi che in questi anni sono stati effettuati, anche normativi, sia di carattere preventivo che repressivo che di sostegno ai percorsi di uscita dalla violenza, ai centri e alle case rifugio. Interventi utili, senz’altro necessari, ma purtroppo non sufficienti a eliminare strutturalmente un fenomeno che per la sua pervasività, trasversalità e diffusione su tutto il territorio nazionale e tra tutte le fasce socio-culturali ed economiche è evidentemente di natura non episodica, non emergenziale bensì strutturale e che quindi, come tale, deve essere affrontato.

La violenza contro le donne – dobbiamo ricordarlo non solo in occasione della Giornata internazionale per la sua eliminazione – è una manifestazione dei  rapporti diseguali tra i sessi che in passato hanno portato alla dominazione maschile sulle donne e che oggi ancora si sostanziano nel mancato riconoscimento e rispetto della libertà, autonomia, autodeterminazione delle donne che porta alla violenza, alla sopraffazione e a ogni forma di sessismo.

Se dunque riconosciamo che è nel terreno degli stereotipi di genere che affondano le radici della violenza contro le donne, altrettanto dobbiamo riconoscere che è soprattutto attraverso l’educazione, la formazione, l’assunzione, lo sviluppo e la condivisione di conoscenza, consapevolezza e di una responsabilità collettiva che punti al pieno riconoscimento, coinvolgimento e valorizzazione delle competenze femminili, del punto di vista e del sapere delle donne, della loro diversità che è valore, qualità, arricchimento per l’intera società, che è possibile sradicare il seme dell’intolleranza e dell’odio di genere.

Ecco la ragione, quindi, anche dell’impegno portato avanti dentro e fuori le istituzioni per un piano straordinario per l’occupazione femminile che metta le donne nella condizione reale e concreta di poter decidere, di essere libere e autonome anche nell’affrontare un percorso di allontanamento da situazioni di violenza, che favorisca inoltre il superamento del gender gap a partire dalla presenza di competenze ed esperienze femminili ai vertici aziendali, delle istituzioni, degli organi di informazione, delle diverse organizzazioni.

Considero inoltre fondamentale, come sempre ho ribadito anche da ministra, il ruolo della scuola come luogo di emersione di situazioni violente in famiglia o nelle relazioni di coppia tra giovanissimi, ma anche e soprattutto come istituzione chiamata a cambiare la cultura che giustifica e sostiene la violenza contro le donne, a combattere le disuguaglianze e discriminazioni che ne sono all’origine, e a promuovere lo sviluppo in ragazzi e ragazze di competenze relazionali fondate sul rispetto delle differenze, la cultura della parità e la mediazione non violenta dei conflitti.

Ma non c’è dubbio che oltre alla scuola una responsabilità decisiva la ricoprono le operatrici e gli operatori dell’informazione e il mondo della politica. Anche negli ultimi giorni sia esponenti di alcuni partiti che giornalisti sono venuti meno alla responsabilità che il ruolo e funzione pubblica dovrebbe imporre loro. Attraverso l’uso di un linguaggio aggressivo, offensivo, violento, insultante si sono infatti resi veicoli di una rappresentazione svilente e svilita della donna, di pregiudizi e stereotipi che dovrebbero invece essere combattuti e superati.

Le parole, come le stesse vittime di violenza spesso hanno sostenuto, possono far male anche più di uno schiaffo perché arrecano le ferite più difficili da curare, quelle contro l’intimità, la dignità, l’onore di una persona. Parole, e anche immagini, non vanno mai usate come pietre, come armi per ferire, demolire, colpire. Il mondo dell’informazione si è dato negli anni regole e codici deontologici ma giornali, siti web, televisioni ancora troppo spesso diventano casse di risonanza di stereotipi e pregiudizi.

Nei titoli sbagliati che alludono a presunte responsabilità, imprudenze, provocazioni delle vittime di violenza, nelle espressioni che inducono il lettore a giustificare l’uomo quando viene descritto non come autore della violenza ma come preda, vittima a sua volta di “gelosia” o “raptus”. L’informazione corretta deve spiegare, chiarire, ripetere che il controllo e il senso di possesso non sono componenti dell’amore, che l’amore è fatto di altro, che l’amore non è mai violento.

Bisogna cambiare il linguaggio del racconto, dell’informazione e anche della politica. Bene hanno fatto le deputate del Partito Democratico a inviare  una lettera all’Ordine dei Giornalisti per sollecitare un impegno concreto nell’eliminare dal linguaggio elementi di misoginia, sessismo, a cambiare le parole “per contribuire ad aprire una pagina nuova, a mettere le basi per una stagione in cui il rispetto tra i generi sia la normalità”.

Un appello a tutti i giornalisti ma che in particolare sollecito la Rai, come servizio pubblico, a recepire. Purtroppo, anche nei mesi scorsi, non sempre alcune scelte, penso in particolare alla presenza di alcuni ospiti in determinate trasmissioni, sono state all’altezza della funzione e del ruolo della Rai.

Anche per questo, come donna, come parlamentare e come capogruppo Pd nella Commissione di Vigilanza ho più e più volte invitato l’azienda ad affrontare il tema di un riequilibrio nelle responsabilità dirigenziali, nella valorizzazione delle competenze femminili, per il superamento del gender gap e quindi anche nella scelta di contenuti e proposte utili a contribuire alla battaglia contro ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne.

Considero quindi importante la scelta di dedicare oggi, 25 novembre, una programmazione speciale, in tv, radio e web, al tema della violenza di genere coinvolgendo anche il pubblico più giovane (da segnalare il corto sulle sorelle Mirabal, primo di un ciclo di cortometraggi su figure femminili che hanno cambiato la storia trasmesso da Rai Gulp) attraverso vari contenuti, interviste, spot, l’illuminazione della sede di viale Mazzini, il sostegno alle campagne istituzionali italiane ed europee, per unire utenti, giornaliste e giornalisti delle testate Rai e addetti ai lavori in uno sforzo comune.

Molto significativa in particolare la campagna “No women no panel” ideata dalla Commissione europea e rilanciata da Rai Radio1 e che, come ha detto il presidente Mattarella in un messaggio alla testata, ha il grande merito di contribuire “a rafforzare, nella società, la spinta per favorire una cultura che promuova l’effettiva parità, prevista dalla nostra Costituzione, ma non ancora pienamente conseguita”.

Il riferimento del capo dello Stato alla Costituzione è di grande valore e importanza. È infatti proprio con l’articolo 3 che le nostre Madri e Padri costituenti riconobbero nella disparità di genere la prima disuguaglianza da superare per costruire una società di opportunità e responsabilità condivise, paritarie e quindi anche per affrontare, strutturalmente, culturalmente, il tema della violenza come conseguenza di pregiudizi, stereotipi, discriminazioni.

A distanza di tanti anni questo resta un obiettivo ancora da raggiungere. Oggi avvertiamo la profonda necessità e urgenza di un radicale cambio di passo che investa, coinvolga responsabilizzi tutte e tutti, ciascuna e ciascuno per la propria parte, in una sfida necessaria, decisiva, qualificante per la nostra società nella sua complessità, per le chance di sviluppo e futuro che come Paese possiamo, vogliamo e dobbiamo darci, per la costruzione di un Paese per donne e uomini, civile, rispettoso delle differenze, delle donne, libero dalla violenza.


Ne Parlano