‘Facciamo appello a tutto il sistema manifatturiero italiano, alle cittadine e ai cittadini, a senatrici e senatori e a tutte le istituzioni, oltre alle aziende direttamente coinvolte con le filiere produttive collegate a Rana Plaza, affinché si attivino non solo in un’opera di sensibilizzazione e sostegno delle vittime blangadeshi, ma contribuendo al fondo internazionale negoziato e gestito direttamente dall’ILO che consenta alle imprese e a chiunque desideri di supportare la raccolta fondi in loro favore’. ‘Il fondo è stato istituito grazie al fondamentale lavoro congiunto di Clean Clothes Campaign, Workers Rights Consortium – sottolineano gli esponenti pd – e dei sindacati internazionali che in questi giorni, insieme a Shila Begum, una lavoratrice bengalese sopravvissuta al crollo del Rana Plaza, e Safia Parvin, segretario generale del National Garment Worjers federation, il principale sindacato tessile del Bangladesh, stanno portando avanti una campagna di sensibilizzazione su questo tema con un tour europeo la cui prima tappa italiana li ha portati ad essere ricevuti in Senato e auditi dalla Commissione dei diritti umani. Purtroppo tragedie di questo tipo sono frequenti in Bangladesh, il secondo produttore mondiale di abbigliamento per i prin­cipali marchi internazionali dopo la Cina la cui crescita non è andata di pari passo con il miglioramento delle condizioni di lavoro dei 3 milioni di operai tessili, di cui 80% sono donne , tra i più sottopagati e maltrattati al mondo’. ‘E’ necessario un sistema di controllo del rispetto degli standards internazionali dell’O.I.L. e della legalità – prosegue la nota – un percorso per la tracciabilità e trasparenza delle filiere produttive che sia parte dei protocolli delle R.S.I. e dei codici di condotta delle imprese. Tutto ciò è parte della concreta politica industriale e commerciale per dare sicurezza e dignità a chi lavora e conoscenza e informazioni ai consumatori. Una produzione ‘pulita’ e un consumo consapevole. Una comune battaglia e campagna nazionale, europea, internazionale affinché non ci siamo più episodi come quello di Rana Plaza. Per raggiungere questo obiettivo servono anche controlli indipendenti, impegni vincolanti per le imprese, responsabilizzazione dei committenti che devono rendere pubblici i nomi di tutti i fornitori e richiedere loro l’adeguamento agli standard di sicurezza e di lavoro dignitoso. Le imprese sono così chiamate ad adottare politiche di rispetto dei diritti umani lungo l’intera catena di fornitura, a mettere in atto una valutazione dei rischi connessi all’attività e attuare azioni di prevenzione, secondo i Principi Guida delle Nazioni Uniti per le impre­se e i diritti umani’. ‘L’Accordo sulla prevenzione degli incendi e la sicurezza degli edifici è stato firmato finora da 160 marchi. Un accordo che va esteso a tutte le imprese che si riforniscono in Bangladesh – concludono i senatori – tra cui importanti marchi italiani, per contrastare il fenomeno delle fabbriche trappola, non progettate per uso industriale, e porre fine a condizioni di lavoro disumane’.

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