Elena Ferrara, senatrice del Pd e madrina della legge contro il cyberbullismo varata a maggio scorso, non ha abbracciato la causa della violenza sul web per caso. Era sua allieva difatti la piccola Carolina Picchio, ragazzina di 14 anni di Novara che cinque anni fa decise di togliersi la vita dopo essere stata filmata e violentata da alcuni suoi compagni, che poi postarono quel terribile video su Facebook. Un dramma che ricorda da vicino la tragica fine della piccola Dolly in Australia.
Prima di morire Dolly ha lasciato un messaggio importante: «Parlate anche se la vostra voce trema». La legge è riuscita a scalfire il muro di vergogna che spesso spinge le vittime a tacere?
«Anche Dolly aveva 14 armi come Carolina. E anche Carolina ci ha lasciato un ultimo messaggio importante. “Le parole fanno più male delle botte”. La legge è nata per aiutare chi soffre per reati, come quelli di cyberbullismo, che non lasciano segni fisici come le violenze reali, ma scatenano spesso darmi interiori altrettanto drammatici. Denunce, scuole e dati delle associazioni dicono che i ragazzi sono oggi più consapevoli».
La legge prevede che i contenuti offensivi segnalati dai minori, devono essere rimossi dai social entro 24 ore. I big della rete si sono adeguati?
«L`iter che ha preceduto la legge ha consentito di prevenire la pubblicazione di video e immagini moleste grazie alle segnalazioni degli utenti: i social si sono dimostrati più attivi. Ad ogni modo a febbraio sarà convocato il tavolo con i colossi della rete, per stendere il codice di regolamentazione condiviso previsto dalla legge al quale siederanno anche Facebook e Google: c`è consapevolezza che bisogna dare più garanzie ai ragazzi, anche rispetto al trattamento dei loro dati personali. Per fermare il cyberbullismo serve un`alleanza tra istituzioni e gestori di contenuti».
Il ricorso agli ammonimenti in Questura però ancora non decolla. Come si spiega il fatto che solo tre ragazzi, dal giorno dell`approvazione della legge, hanno scelto questa strada?
«Non sappiamo in realtà con precisione quante siano davvero le procedure di ammonizione: si tratta di minori, e i dati sono spesso avvolti dalla segretezza. Ma la misura, che abbiamo ricalcato sul modello previsto per quanto riguarda il reato di stalking, si è rivelata tuttavia efficace. Nei casi in cui il minore si è rivolto al questore, il molestatore non ha fatto ulteriori minacce, o ha rimosso il contenuto offensivo segnalato. È un buon viatico: man mano che crescerà la conoscenza della legge, sempre più giovani faranno ricorso a questa possibilità».
Grazie alla legge è nato il Centro di coordinamento nazionale contro il cyberbullismo. A che punto sono i lavori?
«La sede principale è già operativa a Milano, ma sono stati attivati anche due poli territoriali: uno per il Centro Italia a Roma, e uno per il Sud proprio in Sicilia, presso l`Asp di Ragusa, che è diretto da Giuseppe Raffa. Si tratta di centri capaci di trattare i ragazzi vittime di cyberbullismo secondo standard di cura efficaci e condivisi: occorre affidarsi a pratiche e competenze precise, per assistere i ragazzi vittime dei social».
Fondamentali sono scuole e famiglie, tra l`altro. La legge ha istituito un referente contro il cyberbullismo per ogni scuola.
«Era una misura indispensabile, che può aiutare ragazzi e genitori a comprendere quali sono i rischi di postare video violenti in rete. Anche in futuro i ragazzi non rinunceranno a qualche “bravata”, ma è essenziale che in caso di errori, l`adulto riesca a fare comprendere a ciascun ragazzo quanto è rischioso e sbagliato mettere nel mirino un suo coetaneo. Il cyberbullismo non è un gioco».


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