La morte di Moro fu un trauma. L`inizio di una nevrosi collettiva”. Miguel Gotor, storico e senatore del Pd, ha studiato le
carte degli ultimi 55 giorni di vita del presidente democristiano. Ne ha scritto due libri: Lettere dalla prigionia e Il memoriale della Repubblica. Le definisce “pagine che grondano sangue”. Perché attorno a quei documenti, diffusi e ritrovati in momenti diversi e in circostanze eccezionali (una parte nel 1978 e un`altra nel 1990, nel covo brigatista milanese di via Monte Nevoso) si è svolta, nell`ombra, una lotta di potere “che ha deviato il corso del fiume della storia d`Italia”. Un processo che dura alcuni anni: “La morte di Pecorelli (marzo 1979) è un`altra data molto significativa. Poi c`è quella di Dalla Chiesa nell`82. Tre omicidi politici che appartengono allo stesso ciclo storico – questa deviazione del fiume – e seguono un ordine logico e gerarchico: il politico, il giornalista, il generale”.
Del Memoriale di Moro non è mai stato trovato l`originale, ma solo le fotocopie del manoscritto, probabilmente incomplete. La storia è ancora da scrivere?
E un`opera aperta e mutila, metafora di una verità incompleta. Finché non faremo chiarezza avremo un problema col presente e il futuro della storia d`Italia.
La definisce “uno spartiacque”. Per quale motivo?
Giuseppe Saragat lo disse subito: “E la fine della prima Repubblica”. Non per una questione strettamente politica, ma emotiva: si esaurisce una spinta che arrivava dalla Resistenza, dalla ricostruzione. Un ciclo trentennale.
Come cambia l`Italia?
Finisce una fase di sviluppo economico, culturale e civile. Si passa dal civismo al disincanto, dall`impegno al disimpegno. Moro era il garante di uno sviluppo progressivo, inclusivo. Il trauma è devastante: è l`inizio di un`ossessione e di una rimozione.
Categorie della psicanalisi.
Moro fu percepito come un capro espiatorio, la sua morte ha generato un senso di colpa collettivo. Diventa un fantasma,
come nel Divo di Sorrentino. Che non appare solo ai politici, ma a un`intera generazione: molti alla notizia del rapimento reagirono con giubilo. Ma oggi parliamo dell`anniversario della sua nascita: bisogna iniziare a “liberare Moro dalla sua morte” che è un`ultima forma di prigionia. Si tratta di provare a saldare un debito di comprensione e di verità verso un parricidio, un “delitto di abbandono” – come l`ha definito Carlo Bo – che è anche un “delitto di isolamento”.
Chi lo ha isolato?
Mentre cercava di realizzare l`operazione politica più difficile (la”solidarietà nazionale” con il Pci, ndr), Moro era come un capocordata che si trova in alta montagna senza ossigeno, ma decide in modo imprudente di “strappare” e provare a raggiungere lo stesso la vetta. Chi era in cordata con lui – comunisti, repubblicani, socialisti e democristiani – aveva la consapevolezza della sua debolezza.Lo lasciarono solo. A via Fani, sono “passati a prenderselo”: c`era un grande isolamento politico e istituzionale.
Perché questa solitudine?
Come molti riformisti, Moro ha suscitato sentimenti estremi, compreso l`odio. Era disprezzato dalla destra conservatrice e fascista, dalla sinistra extraparlamentare e da quella che hapraticato la lotta armata. Ma non solo. La sua mitezza era presa per debolezza. Invece era un uomo determinato e tenace. Quando gli avversari politici lo scoprivano, iniziavano a odiarlo.
Qual è il bilancio del Moro statista?
Si trovò a fare politica quasi suo malgrado, lo dico senza retorica: era un umanista, un professore, un intellettuale. Ha svolto un ruolo essenziale nel plasmare un`Italia civile e popolare. Per far questo negli anni 60 si è rivolto ai socialisti e nei 70 ai comunisti. Era interessato all`aspetto popolare, di massa, di quelle culture politiche. È stato un costruttore di ponti.
Che idea si è fatto, invece, della persona?
Era consapevole dell`insufficienza e dei limiti della politica. Era attentissimo ai corpi intermedi, ai movimenti e ai giovani. Moro era uno che usciva dal lavoro alle 9 e si “imbucava” alle feste dei suoi studenti; si metteva in un angolo e ascoltava, parlava, interveniva. L`Italia è piena della memoria silenziosa di centinaia e centinaia di giovani di allora che hanno incontrato un uomo così potente quando meno se l`aspettavano: in casa di amici, in visita in un carcere o sul lungomare di Terracina.
Ha detto che “costruiva ponti”. Dall`altra parte del ponte c`era Enrico Berliguer?
Si conoscono tra il 73 e il 74 e si incontrano di nascosto, all`inizio con diffidenza. Prima della foto storica del 77, in cui si danno la mano, ci sono anni di lavorio silenzioso. Credo che abbiano iniziato a capirsi perché avevano figli di età simili, che non votavano né Pci né Dc: le trasformazioni dell`Italia e la crisi dei partiti gli erano cresciute in casa. Entrambi costruivano un ponte: quando Moro viene ucciso, cede l`architrave.