Al direttore – Qualche giorno fa Andrea, 25 anni, mi ha avvicinato mentre uscivo dal cinema. “Allora che fa, scende o no dall`autobus?”.
“La scissione a sinistra che lei, come noi, considerava un dramma c`è stata – ha continuato. Ora scende dal Pd?”. Avevo appena visto “La La Land” e d`istinto gli ho risposto: “No, non scendo”. Ho pensato davvero tanto a quelle parole riportate in una mia intervista al Corriere della Sera. A quanto siano stati difficili quei giorni per tanti elettori e militanti del Pd, anche per lo spettacolo non particolarmente decoroso che abbiamo messo in scena. Ma alla fine e in tutta sincerità dubito si possa parlare di una “scissione a sinistra”. Ho vissuto direttamente due scissioni del partito in cui militavo. Due rotture politiche profonde, che attraversarono
l`intero corpo del partito e che furono facilmente decifrate dall`opinione pubblica. Quella di Rifondazione Comunista dal Pds e quella di chi dai Ds non entrò nel Pd. Quella di oggi è tutt`altra cosa. E i sondaggi confermano che l`opinione pubblica non ci ha capito molto. Intendiamoci: non è affatto facile parlarne per chi come me ha vissuto la militanza politica come un impasto di passioni, senso di appartenenza e vincoli di amicizia. Oggi peraltro alcuni di quegli amici che continuo a stimare escono dal Pd. Ma una valutazione strettamente politica impone di rispondere ad alcune domande.
Come si intende completare questa legislatura? Con quale atteggiamento verso il governo Gentiloni? E soprattutto con quale proposta politica di governo per il futuro? Non mi pare che su questi quesiti si siano registrate posizioni inconciliabili o tali da spiegare perché “un altro partito”. Quanto poi ai problemi concreti con i quali dobbiamo fare i conti, vale la pena ricordare che il Pd nacque anche per agevolare la costruzione di una sintesi tra approcci diversi alla crisi italiana ma riconoscendosi in un comune sistema di valori che nessuno ha tuttora messo in discussione. E in particolare tutti convenimmo sulla necessità di dar vita a un contenitore più ampio perché solo in quella dimensione anche quantitativa sarebbe stato possibile produrre un progetto politico in grado di interpretare gli interessi generali del paese. Si trattava quindi di ridefinire il profilo anche organizzativo di un nuovo soggetto politico. Compito al quale purtroppo si sono sottratti tutti i leader del Pd pensando di sopperire al problema con assetti “a uso e consumo del leader”, incoraggiati anche da un sistema elettorale che sostituiva al rapporto “eletto-elettore” quello “eletto-leader”. E stato importante che nell`ultima Assemblea nazionale Matteo Renzi abbia riconosciuto questo limite anche nella sua gestione e abbia indicato il tema della forma partito e dunque dei processi di formazione e selezione della classe dirigente come uno dei punti principali della prossima discussione congressuale.
Oggi siamo immersi in uno scenario radicalmente nuovo rispetto a quello in cui si svolse l`ultimo congresso del Pd, e anche rispetto
a quello che ci fece registrare lo straordinario successo delle elezioni europee. Tra ora e allora sono cambiate tante cose nel mondo, in Europa e nel nostro paese. E il bisogno di una profonda svolta politico-culturale interroga tutti, vecchia maggioranza e vecchia minoranza del Partito. Uno scenario nuovo che ha cambiato i termini dello scontro politico e che non cancella affatto il discrimine tra destra e sinistra. Tutt`altro, lo rende molto più netto e ne chiarisce i termini.
Nelle nostre società le divisioni tra chi ha e chi non ha si sono notevolmente ampliate, e per la sinistra ripartire dalle esigenze della
parte debole della società diventa assolutamente centrale. Consapevoli che oggi la parte più debole della società è quella dei senza lavoro. E allora! Come riformiamo la democrazia a partire dalla costruzione in forme nuove dei luoghi di mediazioni tra società e istituzioni in grado di garantire partecipazione e decisione politica? Come cambiamo l`attuale sistema di Welfare, non solo
incompatibile con le politiche di bilancio, ma che non tutela i nuovi deboli della nostra società? E sarà possibile affrontare le grandi
sfide di questo tempo tornando a rinchiudersi in un ottuso neonazionalismo?
A queste domande dovrà rispondere il nostro dibattito congressuale. Ma soprattutto a queste domande può rispondere solo una grande formazione politica della sinistra, non certamente una miriade di piccole formazioni ripiegate in un minoritarismo che non potrà mai parlare alla maggioranza della società italiana.
Alla fine della conversazione con Andrea mi sono quindi tornati alla mente l`inizio e la fine del film. Quell`inizio corale, nell`ingorgo
sull`autostrada di Los Angeles, con colori bellissimi dati dal movimento dei corpi e dei costumi. E poi il finale, con i volti
malinconici dei due protagonisti che pur in forme diverse si apprestano a vivere una triste solitudine.
La nascita del Pd la ricordo proprio come l`inizio del film. E nel passaggio di fase che stiamo vivendo, delle difficoltà che dobbiamo
affrontare anche a causa di nostri errori, il destino della sinistra non può essere quello di rifugiarsi in una deriva identitaria
che condanna a una sterile solitudine. E` un “lusso” che non possiamo permetterci di fronte a una destra che ha volti diversi ma un
unico denominatore comune: condannare le nostre società a una terribile regressione sociale e culturale.
Altro che scissione. Impegniamoci semmai a fare del Congresso l`atto fondante di una sinistra ancora più grande e coesa.


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