Ufficiali e personale della Marina e della Guardia costiera indagati per omicidio colposo e omissione di soccorso. I fatti risalgono all’ottobre 2013, mese nero di naufragi che costarono centinaia di vite nelle acque tra Malta e Lampedusa. Il presidente della Commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, esprime «stupore, perché mentre l’Italia è il paese europeo più impegnato a presidiare il Mediterraneo e salvare vite, siamo oggetto di un’indagine per mancato, insufficiente o ritardato soccorso: un paradosso».
Com’è potuto succedere?
«In quel tratto di mare agiscono molte navi di diversi paesi che operano sulla base di un coordinamento internazionale, penso anzitutto all’agenzia europea per le frontiere, Frontex. Anche la nave in questione, Libra, non era che uno strumento di questo dispositivo, che si muove appena riceve l’input. Infatti, appena lo ha ricevuto si è mossa e ha salvato circa la metà delle persone in pericolo. Possono esserci stati problemi di coordinamento ma le nostre forze, i nostri militari, i nostri comandi, l’equipaggio, di certo non hanno responsabilità penali per quanto è avvenuto».
Sono innocenti?
«Più che innocenti. Sono eroici! In quei giorni era un continuo soccorrere migranti sui barconi. Una cosa è verificare se vi siano stati problemi nel coordinamento, altra pensare di contestare addirittura l’omicidio colposo o l’omissione di soccorso. Francamente, tutto ciò non ha alcun fondamento. E posso dire che i nostri sono tranquilli, perché hanno la coscienza a posto. Sono sereni».
La magistratura ha fatto male a indagarli?
«La magistratura può e deve indagare, ma questi sono i fatti. Piuttosto, questa cornice segnala una difficoltà e drammaticità del problema dei flussi. Deve farci riflettere che sono passati tre anni dal 2013 e il problema non è ancora risolto».
A quanto pare ci fu confusione su chi dovesse intervenire, i maltesi o gli italiani?
«Nelle acque territoriali è il paese titolato a dare l’input del soccorso. Ma nelle acque internazionali, come in questo caso, chi decide è una struttura internazionale. Il coordinamento era di Frontex. Non sono in grado adesso di valutare le modalità operative con le quali il coordinamento funziona. Ma non c’è bisogno di aprire un’inchiesta per saperlo. Basta interpellare gli interlocutori internazionali».
Quei migranti potevano essere salvati o no?
«Può darsi che in una situazione di particolare emergenza vi sia stata qualche esitazione nel decidere chi, dove, quando dovesse intervenire, ma questa incertezza rientra nella complessità e drammaticità della situazione. La gestione del flusso di migranti è la frontiera più avanzata sulla quale si cimenta la comunità internazionale».
Da Mare Nostrum in poi, i nostri militari, in particolare i marinai, hanno fatto un lavoro che non è il loro?
«I nostri hanno agito rispettando rigorosamente la legge del mare. Una parte della politica italiana sostiene che così aiutiamo gli sca-fisti. La realtà è un’altra. Chiunque stia in mare ha il dovere di rispettare la legge del mare e soccorrere i naufraghi, c’è un obbligo morale oltre che normativo».
La presenza della nostra Marina incoraggia il flusso?
«Si sviluppa il flusso non per responsabilità delle nostre navi e dei nostri marinai. È urgente una stabilizzazione politica della Libia, e che le Nazioni Unite autorizzino il passaggio alla terza fase della missione EunavForMed, che consentirà di entrare nelle acque territoriali libiche e svolgere azioni più stringenti di controllo in modo da evitare le partenze di barconi. I flussi migratori vanno gestiti insieme, come insegna pure lo sgombero del campo di Calais. Per evitare un’altra Calais bisogna distribuire i profughi su tutto il territorio europeo».
Altrimenti?
«Le migrazioni avranno un impatto eccessivo sulle comunità locali, e aumenterà il rischio di infiltrazioni di jihadisti tra i profughi. Anche la battaglia in corso per Mosul produrrà un intensificarsi dei flussi migratori. Ma non si può dire che bisogna andare fino in fondo nella guerra all’Isis, e poi negare l’accoglienza ai profughi».