La recente approvazione alla Camera del disegno di legge e il successivo decreto del Governo che estende il SIA (Sostegno per l`Inclusione Attiva) ad un`ampia platea segnano un deciso cambio di passo nella lotta alla
povertà. È certamente apprezzabile lo stanziamento nell`ultima Legge di stabilità, così come è condivisibile la priorità assegnata alle famiglie con minori a carico. La scelta è ormai irreversibile: vogliamo costruire anche in Italia un sistema universalistico di protezione, il reddito di inclusione. Restano da chiarire tuttavia almeno quattro nodi, che il testo in arrivo al Senato lascia aperti.
1) Mi riferisco anzitutto alla questione dei figli a carico, per i quali si sta prefigurando una tutela all`interno dell`importo riconosciuto al nucleo familiare. L`ingiustizia è nota: gli assegni familiari sono oggi concessi solo ai lavoratori subordinati o parasubordinati; le detrazioni per figli a carico sono negati agli incapienti. Risultato: i senza redditi non hanno aiuti e sono più poveri tanti più figli hanno da mantenere. Non sarebbe più giusto intervenire, prima o insieme, con una riforma complessiva e una semplificazione degli interventi per i figli a carico, così da riconoscere ai genitori poveri un child benefit identico per tutti i cittadini? Non sarebbe meglio far passare quell`aiuto per i figli come diritto e non come assistenza, subordinata all`umiliante dimostrazione della prova dei mezzi? È ciò che si proponé il disegno di legge presentato due anni fa con oltre cinquanta firme di senatori PD e che presto sarà messo in discussione in Commissione finanze. Non si intende, con questo, prefigurare un rallentamento dei provvedimenti, ma si tratta piuttosto di capire come armonizzarli.
2) Occorre evitare le “trappole della povertà”, ossia dare sussidi eccessivamente generosi che rischiano
disincentivi alla ricerca e al mantenimento del lavoro. Questo rischio è una certezza nella proposta del Reddito di cittadinanza pentastellato, ma e evidente anche in quella avanzata dall`Alleanza contro la povertà. La proposta del Governo (80 euro mese per persona componente il nucleo familiare) è invece ragionevole per gli adulti, forse un po` bassa per i minori. Ma è questo, non altri, il riferimento da cui partire nel dibattito parlamentare.
3) Lo stanziamento oggi previsto, sommando tutte le fonti di finanziamento possibili e considerando le cifre concedibili indicate nel decreto del Governo, potrà arrivare a regime a circa un milione e mezzo di persone, mentre la platea dei potenziali beneficiari in condizioni di povertà assoluta (dati ISTAT) è tripla. Servono quindi più risorse, diversamente si rischia di generare una guerra tra poveri, per cui solo quelli in condizione di maggiore gravità sarebbero aiutati. Con evidenti problemi di equità e di disincentivo all`attivazione.
4) La condizione di povertà è spesso determinata da condizioni (età avanzata, scolarizzazione assente, contesto deprivato, ecc.) che non possono essere superate neanche con le migliori politiche attive del lavoro. In questi casi servirebbe un nuovo grande programma nazionale di Lavori minimi di comunità, organizzato in modo innovativo e lungimirante rispetto al fallimentare modello degli LSU. È quanto anche previsto nel recente disegno di legge presentato al Senato (A.S. 2437) da una trentina di senatori PD, che può contribuire a migliorare ancora il testo approvato dalla Camera. Un testo che segna una svolta di cui essere orgogliosi.


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