Legalità e sviluppo: binomio da dire tutto d’un fiato. Non più, come rischia di accadere, bastían contrari nel difficile cammino per la ripresa e nel non meno arduo rapporto fra attività economica e rispetto delle regole. Da due giorni, in commissione Giustizia del Senato dove è in discussione l’intero pacchetto di riforma penale, avere iniziato a togliere il velo pure delle norme anticorruzione contenute nel disegno di legge del governo, significa, per il senatore Giuseppe Lumia, che nella commissione è capogruppo per il Pd, «comprendere nei fatti che le due cose, ma soltanto nella loro coniugazione culturale e giuridica, possono assicurare all’Italia la trasformazione della crisi in opportunità. Un’occasione anzi irripetibile, per innestare veramente una marcia in più nella ripresa, senza accontentarsi di un Paese che stenta e si rasserena precariamente per qualche decimo di punto strappato al debito di tanto in tanto secondo la congiuntura». E il pacchetto anticorruzione, che verrà discusso sulla base delle proposte del ministro della Giustizia Andrea Orlando, è, aggiunge Lumia, «parte integrante di un intervento ad ampio respiro che riguarda pure le norme antimafia e, cosa importante dal punto di vista culturale, il delineamento delle norme contro il negazionismo della Shoah. L’Italia farà enormi passi avanti, e non in una sola direzione». 
Senatore, corrotti e corruttori nemici giurati dello sviluppo economico: ci interpreta questo concetto?
«La legalità non è un freno, come qualcuno sbagliando ha talvolta pensato, allo sviluppo, ma suo motore. Senza certezza del rispetto delle regole, si resta nel proprio, per giunta ormai povero, orticello. È ovvio che gli investitori stranieri non trovino alcuna attrattiva nel nostro Paese se la corruzione dilaga e non c’è garanzia che chi trucca i bilanci può farlo disinvoltamente perché non viene sanzionato adeguatamente.  Questo è l’anello fra legalità e sviluppo, e il presupposto fondamentale per far sì che la crisi divenga un’opportunità di quelle storiche, a meno che non voglia¬mo accontentarci di una crescita piccola piccola, legati alla convinzione fatalista che ‘come è arrivata, passerà’. Possiamo davvero fare l’exploit se coniughiamo bene i due fattori». 
Inizia a essere cosa fatta, l’incisivo intervento di contrasto alla corruzione. Converrà che la norma penale, da sola, non basta a cambiare consuetudini inveterate. Il presidente della Corte dei conti, e prima di lui il governatore di Bankitalia e lo stesso capo dello Stato nel suo discorso di insediamento, è stato chiaro: rischiamo di rassegnarci, di assuefarci. Anzi, forse il danno culturale ormai è fatto, e Squitieri ha pure aggiunto che in tempi di crisi il fenomeno si incattivisce persino.
«Inutile nascondersi dietro il dito di una occasionalità che non esiste. La corruzione è una costante di tipo ormai culturale che scorre nelle vene del nostro Paese. E la via maestra è, appunto, quella culturale oltre, come dice il commissario nazionale Raffaele Cantone, alla prevenzione. La norma penale non è risolutiva, non è messianica, ma ha indubbia importanza».
Quindi la riforma non avrà intoppi…
«Giovedì scorso il confronto di maggioranza è stato proficuo: ne è venuto fuori un quadro abbastanza concorde, a partire dal dibattito, anche duro, sull’inasprimento delle pene, che alla fine è stato accolto e incardinato nell’emendamento del governo all’esame della commissione. Le sanzioni avevano necessità di seri ritocchi, dopo essere state elevate, ma in maniera blanda e insufficiente, dalla legge Severino nel 2012. Un approccio generale, questo del rigore. Ricordo, infatti, anche la nuova norma, licenziata già dall’aula del Senato, sul rilievo penale del negazionismo, della quale sono particolarmente soddisfatto, e la scelta, anch’essa opportuna, di aumentare le pene pure in materia di mafia, per l’articolo 416 bis». 
Corruzione e mafia, legame da descrivere…
«Corruzione e mafia sono due facce della stessa medaglia, riconoscerne il legame è fondamentale. La mia personale proposta, che qualcuno può anche giudicare eretica, è di non scendere mai sotto i 20 anni di reclusione per i reati di mafia, di qualunque delitto si tratti. Però, la scelta sul 416bis, associazione mafiosa, è già dirompente: si superano i 15 anni, si va giù duro.Il nesso è sancito poi dall’estensione, provvidenziale, della disciplina dei collaboratori di giustizia, per la gestione rigorosa dei quali la nostra magistratura ha ormai una cultura enorme. Ancora, fine al patteggiamento senza condizione per i corrotti, che secondo consuetudine prendevano un anno, un anno e mezzo e poi uscivano a godersi ilmaltolto. Ora, per patteggiare, quel maltolto bisogna restituirlo. Aumenta, grazie a un più attento meccanismo di sospensioni dei termini, la prescrizione, in attesa che in commissione Giustizia della Camera faccia il proprio corso il ragionamento su una riforma complessiva dell’istituto».
Altrettanto evidente il nesso fra la corruzione e il falso in bilancio: anche qui la disciplina sarà aggiornata.
 «Per perseguire il falso in bilancio, reato che occulta spessissimo fondi destinati alle mazzette – punto cruciale dell’accordo sull’emendamento – non occorrerà più la querela di parte. Sull’assetto definitivo di questa norma il confronto non è ancora definitivamente chiuso, sul principio condiviso dell’estensione dell’area di punibilità. Resta da vedere se è meglio mantenere le soglie del valore del falso attualmente in vigore in ordine alla punibilità, se ritoccarle oppure, soluzione che preferisco, introdurre il concetto di ‘tenuità dell’offesa’ per tenere al riparo da conseguenze penali le piccole e medie imprese che incorrano in errori di compilazione. Ma la strada è tracciata»,

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