Nell’ ultimo quarto di secolo, mai era accaduto che tutte le destre (ma proprio tutte tutte) si ritrovassero fiere e impettite a difendere, come un sol uomo, un Procuratore. È accaduto con quello di Catania, Carmelo Zuccaro, a proposito del ruolo delle Ong nel
soccorso in mare. E quando Zuccaro, pochi giorni fa, all`acme di una irresistibile performance declamatoria, ha sostenuto che l`attività delle Ong potrebbe «destabilizzare l`economia italiana», questa fantasmagorica trovata mitologica ha rafforzato la solidarietà di tutte le destre (ma proprio tutte tutte) nei confronti del Procuratore. Forse perché il suo racconto rientra perfettamente nel genere della letteratura fantapolitica (alla Tom Clancy, Wilbur Smith e Dan Brown), dove le avventure più improbabili si svolgono in uno scenario realistico o iperrealistico, con nomi e cognomi veri e con personaggi storici: Vladimir Putin e Barak Obama, Yasser Arafat e Fidel Castro, e così via.
Il genere letterario è appunto quello e il Procuratore di Catania vi si trova a suo agio, maneggiando fatti veri e fatti presunti, indizi e iperboli. Ne consegue, e non stupisce, un discorso dove nulla è certo, documentato, verificato e dove abbondano gli avverbi di dubbio (in primo luogo «forse» e poi «probabilmente», «quasi», «eventualmente»…), i tempi al condizionale e i periodi ipotetici. Così
Carmelo “forse” Zuccaro può annunciare di «aver aperto» e, dopo un mese, di «voler aprire un`inchiesta per favoreggiamento dell`immigrazione clandestina nei confronti delle Ong». Inchiesta che, dunque, oggi non esiste ancora o meglio: non esisterebbe. O forse sì. Ma come è possibile che tutto ciò accada? C`è una ragione fondamentale per cui l`ordinamento affida ai soli capi la responsabilità di parlare in pubblico del lavoro degli uffici giudiziari: ed è quella – per l`appunto – di evitare un uso improprio del potere di indagine,
per farne strumento di comunicazione e di mobilitazione popolare, con effetti nefasti sulla credibilità delle indagini e della stessa
funzione inquirente.
Al contrario, sarebbe inaccettabile una motivazione gerarchica, per cui il capo zittisce tutti gli altri magistrati dell`ufficio come se gli fossero subordinati.
Né sarebbe condivisibile un generalizzato divieto di esprimere opinioni: i magistrati sono e restano cittadini come tutti, liberi di esprimere leproprie considerazioni su fatti di rilevanza pubblica ed estranei ai propri compiti d`ufficio. L`unico vincolo è sul proprio lavoro e sull`esercizio concreto delle proprie funzioni istituzionali. Lavoro e funzioni quanto mai delicate, da cui dipendono la sicurezza della comunità e la libertà dei cittadini che la compongono. Una nonna di prudenza, quindi, ha voluto accentrare sui capi degli uffici giudiziari quella delicata funzione comunicativa eccedente la sobria prosa degli atti. Perché, come ha ricordato – tra gli altri – il Ministro della giustizia Orlando i magistrati parlano innanzitutto attraverso i loro atti. Poi può essere necessario spiegare,
chiosare, argomentare, e va fatto con attenzione e giudizio, per evitare di compromettere la credibilità e gli sviluppi ulteriori del lavoro compiuto. Ma che succede, invece, se proprio il capo dell`ufficio – cui l`ordinamento giudiziario affida la regola della misura – si scompone e confonde la propria gravosa responsabilità con una arbitraria libertà di giudizio su la qualunque senza far riferimento a un
solo atto d`ufficio, e dunque minando la credibilità di tutti quelli che dovessero seguire? Questo è successo al dottore Carmelo “forse” Zuccaro, quando ha prefigurato responsabilità penali da lui stesso giudicate inaccettabili. E non di un solo atto ha dato notizia, in quel profluvio di dichiarazioni, ammonimenti, analisi, “intuizioni” e “conoscenze.” Non resta che affidarsi, dunque, al vaticinio.
Intanto, il “venticello della calunnia” ha iniziato a spirare (in genere si dice così, ma qui quel venticello assomiglia a un tornado) e le organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio di vite umane sono già state etichettate e pesantemente stigmatizzate.


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