Un anno fa, alle 19:41 del 25 gennaio del 2016, un italiano di 28 anni – «un giovane contemporaneo» lo avrebbe definito sua madre – spariva nel nulla sconosciuto e feroce di una città mediorientale. Così iniziava l’agonia di Giulio Regeni nei misteriosi sotterranei (la metropolitana, le stanze segrete, le celle illegali o legali) di quel grande agglomerato urbano che è II Cairo. Se quello è stato l’inizio di una tragedia, la sua fine è nota ed è – se possibile – ancora più drammatica: perché il corpo di Regeni, dopo oltre una settimana, è stato restituito segnato dalle tracce di una efferata tortura.
Nel corso dei mesi, i soggetti di questa storia hanno seguito, tutti, una loro rigorosa coerenza. È proprio il caso di due: nel male come nel bene.
Le autorità politiche e giudiziarie egiziane, per tutta una lunghissima fase hanno oscillato tra negazionismo assoluto (Regeni vittima di un incidente o di sordide relazioni o comunque di faccende private) e depistaggi fraudolenti (l’uccisione attribuita a una gang di criminali comuni), realizzati con trucchi da baraccone e rappresentazioni paranoiche.
Solo negli ultimi tempi si è avuto qualche riconoscimento nei confronti dell’innocenza e della limpidezza morale di Giulio Regeni e qualche promessa di concreta collaborazione. Risoltasi, generalmente, in ammissioni striminzite e annunci modestissimi, spesso con un doppiofondo di dettagli poco significativi e di rivelazioni deformate.
Allo stato attuale, siamo ancora nel campo degli impegni di una cooperazione tutta da verificare e della  consegna di una quantità indistinta di documenti, dei quali è difficile verificare qualità e rilevanza.
E anche il presidente Al Sisi è passato da un atteggiamento di totale minimizzazione a qualche stiracchiato riconoscimento dell’onestà di Regeni.
E per quanto riguarda le indagini anche quella che è stata presentata  nelle ultime ore come una «clamorosa novità» è, in realtà, materiale già conosciuto, che conferma quanto si sapeva: Giulio Regeni è stato “tradito” e “venduto” da uno di quei leader sindacali dei venditori ambulanti, sulla cui attività svolgeva la sua ricerca.
In questo caso, il dato davvero significativo è quello che prova come il giovane italiano fosse spiato da molte settimane prima che, quel 25 gennaio, venisse rapito. Il secondo soggetto di questo dramma è costituito dal governo italiano. Molte dichiarazioni importanti (Paolo Gentilonì, allora ministro degli Esteri: «Non ci accontenteremo di una verità di comodo») e un solo gesto davvero incisivo: il richiamo dell’ambasciatore italiano al Cairo, l’8 aprile del 2016.
Poi, tantissime dichiarazioni di amicizia verso l’Egitto e Al Sisi, e altrettanti argomenti per motivare il ritorno dell’ambasciatore italiano in quel paese e il ripristino di ordinarie regolari relazioni diplomatiche.
L’attuale premier, che è persona né insensibile né sprovveduta, nella sua conferenza stampa di fine anno ha dichiarato: “Ho visot segnali di cooperazione molto utili dall’Egitto, spero si sviluppino e il governo lavorerà in questo senso».
Fatte salve tutte le esigenze della indispensabile riservatezza, mi sento di dire che di questo “lavoro” non si è avuta alcuna manifestazione, se non quella legata ad un’attività diplomatica che è sembrata inade­guata a superare la regolare routi­ne e a scuotere la torbida indifferen­za degli apparati politico-ammini­strativi del regime di Al Sisi.
D’altra parte, il ruolo della Procu­ra italiana, la sola autorità davvero costantemente impegnata, è di per sé assai limitato non potendo agire in alcun modo in territorio straniero.
Resta il terzo soggetto di questo dramma, e sono i familiari. Dico, con profonda e documentabile con­vinzione, che senza di loro questa vicenda sarebbe caduta nell’oblio già da tempo.
Il nitore delle parole così straor­dinariamente efficaci dei genitori, quella loro inaudita, posso dire?, eleganza – di gesti, toni e linguaggio -e la rara chiarezza del ragionamen­to e dell’azione, hanno fatto sì che il loro dolore più intimo diventasse
È nostro compito evitare che tut­to ciò risulti vano, e che tanta indi­cibile sofferenza venga dissipata. Ancor più che sullo sfondo resta un dato davvero atroce, documen­tato da Amnesty International e da tutte le organizzazioni per la tute­la dei diritti umani: centinaia e cen­tinaia di egiziani che, nell’ultimo anno, hanno subito la stessa sorte di Giulio Regeni.


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