Perchè è difficile anche solo immaginare una politica che voglia occultare le emozioni
Le fiammate del cosiddetto ‘populismo’ sembrano aver posto al centro della sfera pubblica il ruolo di sentimenti primari – pulsioni, direi – che rimandano a emozioni particolarmente intense: frustrazione e ira, senso di prostrazione e voglia di rivalsa. In realtà, il populismo ha l’effetto di proporre quelle pulsioni o allo stato puro o nelle forme più acute, ma non si può dire certamente che la sfera emotiva sia di pertinenza esclusiva dell’azione populistica. Al contrario: la politica è emozione (buona o cattiva emozione, a seconda dei punti di vista). Nel corso degli anni, mi è capitato più volte di evidenziare come ‘il nostro carissimo nemico’ Silvio Berlusconi costituisse la rappresentanza politica reazionaria, e non poteva essere altrimenti, di emozioni e valori. Evocare il secondo termine sembrava pressoché una bizzarria, ma anche il primo suonava singolare, quasi che i connotati del berlusconismo potessero ridursi a un impasto sordido di interessi (anche indicibili) e di egoismi (solo gretti). Come se, a loro volta, gli interessi non suscitassero emozioni e come se gli egoismi non potessero corrispondere ad altrettanti valori. Un esempio. L’ostilità verso gli immigrati discende in primo luogo da una fobia e dalle ansie che suscita – sentimenti, appunto – e si traduce in strategie di conservazione di identità, culture e posizioni che rimandano a valori. Non solo. E’ difficile anche solo immaginare una politica che non racconti o che, addirittura. voglia occultare le emozioni. Ogni volta che ciò accade, l’azione pubblica perde la sua propria identità, si riduce a tecnica e ad amministrazione, declina. E la soluzione, rispetto a tale decadenza, non è il realismo politico. Quest’ultimo può convivere con una politica capace di fare un buon uso delle passioni. I Radicali sono stato uno straordinario esempio di tale virtù, ma – a ben vedere – la combinazione tra concretezza degli obiettivi e intelligenza nel ‘galvanizzare le masse’ (Max Weber) ha connotato tutte le strategie politiche in grado di perseguire i propri fini. E oggi ci troviamo di fronte a numerose problematiche che rivelano un fondo straordinariamente vivo (incandescente, direi) di emozioni: rispetto alle quali la razionalità politica, che pure deve esercitarsi, non offre soluzioni esaurienti Due giorni fa, sul Domenicale del Sole 24 Ore, Armando Massarenti ha scritto cose assai sagge a proposito del ‘caso Stamina’. Le sottoscrivo incondizionatamente, ma av verto con angoscia tutta la povertà della ‘ragione scientifica’ a fronte del dramma che il ‘metodo Vannoni’ pretende, fraudolentemente, di affrontare. Sia chiaro: in termini di salute pubblica e di responsabilità istituzionale, tutto ciò non ha alcuna rilevanza, ma per la politica e per la vita di una comunità la rilevanza è, invece, enorme. Una volta che l’autorità pubblica abbia affermato inequivocabilmente l’inefficacia di quel metodo, resta una domanda inesorabile: come rispondere al ‘nostro bisogno di consolazione’ quando i pazienti affetti da una lenta malattia degenerativa sono bambini di pochi anni”
Il caso Stamina
E’ vero: il ‘metodo Vannoni’ sfugge anche ai parametri previsti dalle cure compassionevoli e, dunque, è terribilmente arduo immaginare una qualunque soluzione ‘consolatoria’. Ma ciò che voglio qui evidenziare è l’impossibilità per la politica (la scienza risponde a un altro codice) di ignorare quell’emozione rappresentata dal dolore intollerabile dei genitori di bimbi destinati alla morte. Si può rispondere, ed è una risposta assai intelligente: è qui che la politica deve riconoscere il proprio limite. Ovvero la propria finitezza rispetto a quell’infinito che può essere il dolore umano. Ma se si coltiva di quella stessa politica un’idea che corrisponda nel linguaggio laico alla ‘forma più alta di carità’ (Paolo VI) qualcosa si dovrà pur tentare di dire. Vale lo stesso discorso per una questione altrettanto, se non più, con¬troversa. Domenica scorsa, Emanuele Trevi in un bellissimo articolo sul Corriere della Sera ha affrontato la questione dell’eutanasia partendo dal dibattito in corso in Belgio Una scrittura, la sua, dolente e grave come le questioni che trattava; e anche lenta e dubitante come i percorsi esistenziali e mentali che descriveva. Una emozione matura e lucida percorreva il lungo articolo, proponendo in un intreccio non scioglibile grumi di sofferenza e quesiti morali, ragionamenti teorici e domande alla politica.

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