L’emendamento approvato ieri in Commissione Bilancio alla Camera, con il quale si introduce un limite alle prestazioni pensionistiche maturate da coloro che, optando per il passaggio al sistema contributivo, percepiscono somme superiori a quelle calcolate secondo il sistema retributivo, costituisce un segnale positivo nella giusta direzione. Si tratta in effetti di porre rimedio ad una ‘falla nel sistema’, in virtù della quale alcune categorie di pensionati d’oro avrebbero addirittura visto aumentare trattamenti pensionistici già squilibrati. Vero è, tuttavia, che la questione delle pensioni d’oro è molto più vasta e complessa, anche rispetto ai diversi tentativi di introdurre limiti in sede di legislazione ordinaria, inevitabilmente destinati alla bocciatura della Corte Costituzionale. Ci si scandalizza facilmente, e giustamente, per le pensioni da decine di migliaia di euro al mese, senza tenere conto del fatto che oggi in Italia meno di 200.000 pensionati, pari a poco più dell’1% del totale, assorbono circa il 16% della spesa complessiva: parliamo di coloro che percepiscono un trattamento superiore a 10 volte il minimo, nella netta maggioranza dei casi superando di circa il 25% il livello cui avrebbero diritto in base ai contributi versati. Si dovrebbe prendere atto che esiste un problema complessivo di equità sociale, e di conseguenza agire con un approccio non legato alle contingenze del momento. Per questo ho ritenuto di depositare il disegno di legge costituzionale N. 1391, attualmente assegnato all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato: per garantire la funzione solidaristica dell’istituto pensionistico di vecchiaia, sancendo da un lato il diritto di tutti i lavoratori a ottenere una pensione minima quale presupposto necessario per garantire la dignità della persona e, dall’altro, fissando un limite massimo al trattamento pensionistico erogabile per rapporti di lavoro di tipo pubblico o privato, pari a dieci volte il limite minimo stabilito per legge .

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