Il Def è «inadeguato» e di «corto respiro» e «presto i nodi verranno al pettine». Antonio Misiani è responsabile economia della segreteria Pd, senatore ed ex vice-ministro al Mef. Non fa sconti al governo, il documento di programmazione economica e finanziaria è insufficiente a suo giudizio, ed è preoccupato anche per il Pnrr, che potrebbe dare una spinta al Pil e che, invece, è in ritardo e «alcuni nella maggioranza chiedono addirittura di rinunciare a una parte delle risorse».

Per la prossima manovra servono almeno 23-26 miliardi secondo il “Sole24ore”, ma il Def ne individua solo 5,7. Dove si prendono gli altri?
«La cautela sui saldi di bilancio è necessaria: dall’anno prossimo tornano le regole europee, anche se riviste. E poi dobbiamo fare i conti con l’aumento dei tassi di interesse. Detto questo, il governo Meloni spaccia per prudente un Def immobilista, inadeguato e di corto respiro. La verità è che i nodi verranno al pettine presto e richiederanno molte più risorse di quelle rese disponibili dal limitato extra-deficit programmato nel 2024».

E, considerando appunto i vincoli Ue sui conti pubblici, come si reperiscono queste risorse?
«Cito tre possibili misure. La prima: combattere sul serio l’evasione fiscale. Il contrario di quello che sta facendo il governo, che ha inserito un condono persino nell’ultimo Dl bollette. Secondo: una revisione della spesa pubblica molto più ambiziosa di quella minimalista prevista dal Def. Terzo: gli extra-profitti. Anche la Bce ci dice che è in atto una spirale profitti-prezzi. Almeno parte delle risorse necessarie potrebbero essere recuperate con un intervento straordinario simile a quelli del 2022-2023 ma esteso a tutti i settori».

Il taglio del cuneo fiscale però è una misura che avevate immaginato anche voi.
«A dicembre noi dicevamo che il taglio previsto dalla legge di bilancio era del tutto insufficiente. Ora il governo ci da ragione. Il punto è che si tratta ancora una volta di una misura limitata e una tantum, mentre il crollo del potere di acquisto dei salari è drammatico: il carrello della spesa a marzo è aumentato di quasi il 13 per cento, le retribuzioni contrattuali crescono meno del 2. Le toppe non bastano, serve una strategia: un taglio del cuneo più grande e strutturale, una legge sul salario minimo, il rinnovo dei contratti di lavoro scaduti».

Elly Schlein ha minacciato «barricate» sulla sanità. E’ così grave la situazione?
«E’ uno dei fronti che ci allarma di più. Per il fondo sanitario nel Def non è previsto un euro in più, mentre per arrivare al 7 per cento del PIL servirebbero 15 miliardi. Il sistema rischia di crollare, con il commissariamento di molte regioni e, di conseguenza, il taglio dei servizi e l’aumento delle tasse locali. Su tutto questo il governo non sta dando risposte».
Sul Pnrr il governo accusa gli esecutivi precedenti. Siete disposti a collaborare per evitare di perdere soldi? E’ giusto rivedere gli obiettivi?
«Stiamo rischiando grosso, il pericolo è perdere miliardi e credibilità. Il governo ha passato mesi a cincischiare e a giocare allo scaricabarile. Come ha chiesto il presidente Mattarella servirebbe invece una mobilitazione generale di tutto il paese. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, ma il governo deve venire in Parlamento e dare indicazioni precise sugli investimenti e le riforme del Piano. È vitale non perdere nemmeno un euro delle risorse disponibili».

Bastano i soldi previsti nel Def per gli interventi sul fisco?
«No, non basteranno. Bisognerà fare delle scelte. Per noi la priorità è tagliare le tasse sul lavoro sui redditi medi e bassi. Il resto viene dopo. Non sarebbe accettabile dare priorità a misure inique e regressive come la “flat tax”, sacrificando a questo obiettivo ideologico la tutela dei redditi della larga maggioranza dei contribuenti».

Le stime del governo sul Pil sono più ottimistiche di quelle del Fmi. Chi ha ragione?
«Ci auguriamo che abbia ragione il governo, naturalmente. Ma quello che colpisce è che il Def certifica l’impatto insignificante sulla crescita della prossima manovra di bilancio: da +1,4 a +1,5 per cento. Ci sarebbe la possibilità di fare molto meglio, accelerando il Pnrr. Ma il governo non ha le idee chiare, mentre alcuni nella maggioranza chiedono addirittura di rinunciare a una parte delle risorse europee».


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