‘Finalmente, dopo due anni, il governo italiano si prepara a far pagare qualche imposta alle multinazionali del web che, finora, le hanno elegantemente aggirate registrando nei paradisi fiscali, molto spesso in Irlanda, i ricavi effettuati nei grandi Paesi europei. Matteo Renzi l’ha definita Digital Tax, altri l’avevano chiamata Google Tax, altri ancora Web Tax’, così Massimo Mucchetti – presidente della commissione Industria di palazzo Madama – dal suo blog commenta l’annuncio fatto ieri dal presidente del Consiglio ad Otto e Mezzo sulla digital tax.

Secondo il parlamentare: ‘Se non è zuppa è pan bagnato: si fa pagare l’imposta dove si realizza materialmente il ricavo e non dove si manda on line la fattura. Palazzo Chigi giustifica la benevolenza mostrata finora verso gli elusori di lusso (Google, Apple, Amazon, Facebook, ma anche Ryanair e così via) con l’attesa di una norma europea. E ancora intende pazientare per i primi sei mesi del 2016’.

‘Altri – osserva poi Mucchetti – come il conservatore Cameron, si sono già mossi. In effetti, l’Unione europea ha affrontato gli abusi di posizione dominante dei Google & C. in chiave antitrust. Assai meno efficace è stata finora l’elaborazione comunitaria sul piano fiscale, ancorché l’elusione consenta all’elusore di offrire servizi a prezzi inferiori rispetto a quelli praticabili da parte di chi le imposte le paga per intero’, che poi conclude: ‘L’emendamento alla legge di stabilità, che avevo presentato un anno fa, per introdurre una norma all’inglese non ebbe il sostegno del governo, preoccupato di trovarsi spiazzato rispetto alla retorica del Nuovo Che Avanza. Poi il sottosegretario Zanetti l’ha riproposto in un suo Ddl. Adesso, con Google che è ormai da due anni il secondo operatore pubblicitario italiano dopo Mediaset, arriva la svolta di Renzi. Vedremo il merito. Ma intanto gli va tributato il giusto omaggio: meglio tardi che mai’.


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