Caro direttore, tale spigolature con le quali ieri Nicola Porro ha cucinato la sua appetitosa Zuppa settimanale, una narra della «pace tra Tronchetti e Mucchetti». Non aggiungo nulla al racconto perché, come spiega lo stesso autore, trattasi diversione «fantasiosa» – amabilmente fantasiosa, s`intende – di un fatto reale, e cioè che il presidente della Pirelli e il presidente della Commissione Industria del Senato si sono parlati senza dirsi cattiverie, dopo i contrasti di qualche anno fa che emersero pubblicamente nel processo Telecom. Quel processo si è chiuso con sentenze che salvaguardano l`onore di Tronchetti e, al tempo stesso, riconoscono il danno patito dagli spiati a opera della security dell`azienda. Amen. Vale invece la pena di sviluppare la spigolatura di Nicola con qualche dato di realtà. Guardando al domani. Il primo dato riguarda le tensioni in seno alla compagine azionaria di Rcs Mediagroup, editrice del Corriere della Sera, il quotidiano per il quale ho scritto dal 2004 a1 2012. A margine di un`assemblea della Banca d`Italia, nonricordo se questa del 2015 o la precedente, ma certo prima della «pace», manifestai a Tronchetti un apprezzamento per la linea che stava tenendo a difesa dell`autonomia e della radice milanese del Corriere della Sera. In altre occasioni non avevo nascosto le mie perplessità. Mi parve giusto non nascondere, questa volta, il consenso.
Un altro dato di realtà è stato ilpubblico riconoscimento delle prospettive industriali che l`accordo con Rosneft poteva aprire alla Pirelli. Un amico mi tirò per la giacca: «Ma come? Tronchetti non era un tuo nemico?». Risposi: «Un giornalista non ragiona in termini di amici o nemici, ma di fatti da capire e, quando è il caso, giudicare secondo quello che crede essere, magari sbagliando, l`interesse generale. A maggior ragione un politico». Non è buonismo, ma senso del ruolo. Se di Rosneft-Pirelli pochi politici si erano curati, questo non diminuiva il rilievo di quella intesa, semmai alimentava l`opinione diffusa secondo la quale i politicipreferiscono parlare e straparlare per stereotipi anziché ragionare nel merito dell`economia delle imprese. Terzo e più importante dato di realtà: l`invito al presidente della Pirelli divenire al Senato a riferire sull`ingresso di ChemChina in Pirelli. ChemChina è una grande conglomerata attiva in diversi settori. Appartiene allo Stato. La govemaun manager di fede comunista (cinese). Avrà il 90% della Pirelli. Mi pare interessante ragionare sul fatto che una della storiche aziende del capitalismo privato italiano venga nazionalizzata dauno Stato estero fortemente dirigista come dimostrano anche i recenti provvedimenti sulle Borse di Shangai e di altre metropoli cinesi. Avevamo in mente questo tipo di esiti quando, negli anni 90, pensavamo alle privatizzazioni come toccasana universale? Siamo sicuri che un mercato, nel quale noi giochiamo con una mano, quella pubblica, legata dietro la schiena e gli altri si tengono libere la destra e la sinistra, la pubblica e la privata, sia un mercato che ci convenga? Per me si tratta di domande retoriche. Per altri no.
E qui arriviamo all`ultima spigolatura di P orro sulla Cassa depositi e prestiti. Leggo dei retroscena sul vertice della Cassa e mi domando se questa e il suo Fondo strategico debbano o non debbano avere un ruolo nella Pirelli del dopo Tronchetti. Non è una domanda nuova: l`avevamo posta nel corso dell` audizione all`indomani dell`annuncio dell`accordo con ChemChina. Tronchetti ha ottenuto che, per le principali decisioni di carattere straordinario e non solo, serva un consenso superiore al 90%. Una clausola statutaria a protezione del ruolo di Tronchetti fino alla sua effettiva uscita di scena e, fino ad allora, della radice italiana di Pireni. Ma poi? È davvero così irrealistico pensare a un Fondo strategico che, da solo o con altri, abbia il 10,1% della Pirelli così da poter difendere, nel rispetto delle regole della Borsa italiana, l`interesse nazionale quando Tronchetti andrà, come lui stesso dice, in pensione? Oggi tutto sembra perfetto. Ma come escludere tassativamente che un domani la conglomerata, avendo rilevato l`attuale quota italiana (per tutto c`è un prezzo), non possa vendere la divisione pneumatici con dentro la Pirelli e fare dell`altro? Se esistono altre soluzioni, ben vengano, naturalmente. Ma temo sia difficile, posto che non si vedono in giro tanti italiani disposti a scalzare Tronchetti e i cinesi con una contro-Opain nome di altri, mirabolanti progetti, mentre banche e assicurazioni, un tempo presidio della Bicocca, faticano a detenere partecipazioni azionarie da quando le regole di Basilea e di Solvency 2 hanno aumentato a dismisura i requisiti patrimoniali a copertura dei pacchetti azionari stabili.

Ne Parlano