‘C’è una sanzione vera che a Putin farebbe male, ma l’Italia non l’ha ancora adottata nonostante sia nel suo interesse farlo. Ma, chissà, forse oggi pomeriggio l’intervento del ministro Federica Guidi in Senato potrebbe segnare la svolta. Questa speciale sanzione consiste nella rinuncia dell’Eni a finanziare pro quota il tratto del gasdotto South Stream che attraversa gli abissi del Mar Nero. Nella prossima primavera scatta la ricapitalizzazione della società a maggioranza Gazprom che sarà proprietaria del tubo. L’Eni dovrebbe versare 2 miliardi se vuol conservare la sua attuale quota del 20%. Ma può anche astenersene lasciandosi diluire fin quasi a zero ed evitando così di fare altri 2 miliardi di debiti’. Lo scrive oggi sul suo blog Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato.
Secondo Mucchetti: ‘Nel 2009, Paolo Scaroni caldeggiò l’operazione che a regime sarebbe costata almeno 35 miliardi, in buona parte finanziati a debito. Il progetto trovava un suo equilibrio economico sulla base di un ritorno, dopo le tasse, del 10%, altissimo per un’infrastruttura. Per ottenere un simile guadagno, al gas russo trasportato attraverso quel tubo si dovrebbe applicare un diritto di passaggio assai elevato. E questo aumenterebbe il prezzo finale di quel gas in un contesto di minor utilizzo di questo combustibile fossile e di prezzi strutturalmente calanti per gli effetti dello shale gas sul mercato globale’.
‘L’Eni scaroniana – continua il presidente della commissione Industria di palazzo Madama – non ha mai chiarito, nemmeno nell’ultima audizione alla Commissione industria del Senato, se e quanto del gas del South Stream si sarebbe aggiunto, e a quali condizioni contrattuali, a quello già destinato all’Eni medesima dai contratti take or pay con Gapzrom. D’altra parte, i fini di Mosca erano e sono in tutta evidenza due: nel breve periodo, impaurire Kiev mettendo in funzione un tubo alternativo a quello storico che passa dall’Ucraina; sul piano strategico, una volta risolta in un modo o nell’altro la crisi ucraina, aumentare la già ingente dipendenza dell’Europa dalle forniture di gas russo’.
‘L’errore dell’Eni era chiaro già nel 2009-2010. Basta ricordarsi di che cosa aveva fatto mettere a verbale il consigliere di amministrazione, Alberto Clo’, e non solo lui. Al suo esordio, il premier Matteo Renzi ha confermato l’impegno dell’Italia nel South Stream. Immagino per la fretta di dire qualcosa. Ora l’Eni ha cambiato gestione. Se è vero che Claudio Descalzi è un manager tutto industria e zero salotti politici, il cane a sei zampe può rimediare all’antico errore prima che sia troppo tardi (ovvero prima di mettere mano davvero al portafoglio a favore del progetto putiniano). E il governo può salvare la faccia dicendo che la ritirata non deriva dall’ammissione di un errore ma e’ imposta dalle sanzioni. Andrà bene anche così. Come diceva il grande Deng Xiaoping, non importa di che colore è il gatto purché prenda i topi’. Così conclude il senatore dem.


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