“Nelle audizioni di oggi in Senato sul ddl di riforma costituzionale
Meloni-Casellati, che pure hanno visto intervenire tre accademici
favorevoli al principio dell’elezione diretta del premier,
si è capito bene come mai il testo uscito dal
consiglio dei ministri – frutto di un tormentato braccio di ferro tra
Lega, Fi e Fdi – sia stato definito il 20 novembre scorso un
‘pasticcio da Tso’ da un illustre esponente della stessa maggioranza
come il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè”. Lo dice il senatore
del Pd Dario Parrini, vice presidente della commissione Affari
istituzionali di palazzo Madama.
“Risulta perciò sempre più necessario denunciare non solo il
pericoloso stravolgimento degli equilibri costituzionali tra i massimi
poteri dello Stato che questo provvedimento genera, ma anche la lunga
serie di pasticci, lacune, contraddizioni e illogicità che lo
caratterizzano -prosegue Parrini-. Tutti difetti che nascono dal
bisogno di tenere insieme le diverse e contrastanti anime del
destracentro e dal faticoso tentativo di fingere che si resta nella
forma di governo parlamentare quando in realtà l’elezione diretta del
premier conduce di per sé alla sua liquidazione”.