I saggi non sostituiscono il Parlamento
Il senatore Filippo Bubbico, 59 anni, architetto, è l`unico «saggio» lucano tra le 10 personalità scelte dal presidente della Repubblica, Napolitano. Sindaco del paese d`origine (Montescaglioso), poi assessore e presidente della giunta della Basilicata). Qui ha lasciato un segno su intese come quelle sulla gestione delle risorse idriche e sulle compensazioni per le estrazioni petrolifere (prima dell`accordo con Eni, le Regioni non ricevevano royalty dalle compagnie petrolifere). Da governatore lucano fu protagonista dell`aspra battaglia, infine vinta dal popolo lucano, contro il progetto di insediare, in una grotta di salgemma di Terzo Cavone, a Scanzano Jonico, il deposito unico nazionale di scorie nucleari. È stato poi, tra l`altro, sottosegretario allo Sviluppo economico (nel secondo governo Prodi) e ora è presidente della Commissione sul patto di stabilità.
 Senatore Bubbico, in un Paese che ha smarrito i freni inibitori, che al confronto preferisce insulto e turpiloquio, come si sente a essere stato considerato ufficialmente ‘saggio’?
 «La definizione è, per la verità, una semplificazione giornalistica…».
 E allora cosa siete?
«Il Presidente della Repubblica ha ritenuto di intervenire in una situazione transitoria e di stallo del Paese nella quale si concentrano diverse complessità: il semestre bianco con la conclusione del mandato del Capo dello Stato, la difficoltà a formare un governo…».
 E ha convocato dieci saggi…
«Ha voluto mettere in campo due gruppi di lavoro per accompagnare l`attività del governo Monti». Dopo i primi applausi, però, fra i partiti sono emersi dubbi e titubanze. I critici hanno ragione o torto? «Si tratta di una situazione straordinaria, con organismi che resteranno in carica finché non saranno costituite le commissioni ordinarie. I gruppi di lavoro non hanno la pretesa di risolvere una crisi che è assai profonda. Non sospendono il dibattito democratico, nè possono costruire intese per una possibile convergenza di governo. Cosa che può derivare solo dall`iniziativa dei partiti e dei gruppi parlamentari».
Però possono creare uno spazio di confronto. O no?
«Certamente».
Magari possono mettere a fuoco risposte condivise alle emergenze del Paese sul piano economico e sociale e su quello istituzionale…
 «Sono le due grandi priorità del Paese. La disperazione di chi perde il lavoro e delle imprese costrette a chiudere e il sistema politico bloccato a causa di una legge elettorale che favorisce l`instabilità, a differenza di quanto accade in altri grandi Paesi».
E l`ingovernabilità lascia irrisolte le emergenze vere. Da dove bisogna ripartire?
«In primo luogo dal lavoro. Per creare lavoro bisogna rimettere in moto l`economia. Bisogna intervenire subito a partire dal fisco. Urge risolvere il problema degli esodati. L`annunciato sblocco dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione per le imprese, non sarà risolutivo, ma è un passaggio essenziale per far ripartire il Paese».
E poi?
 «Va ripensato lo scenario di politiche economiche praticato a livello europeo».
Il rigore non basta?
«Non basta. Deve ripartire l`economia reale. Bisogna favorire crescita, equità. Sconfiggere la recessione. Occorre qualificare la spesa pubblica. Senza spesa pubblica l`economia non può ripartire. Ovviamente ci vuole una ‘buona’ spesa pubblica».