Signor Presidente, senatrici e senatori, l’intervento, di poco precedente, della senatrice Lo Moro mi esime dal ricorrere ad alcuni argomenti giuridici e ad alcuni riferimenti costituzionali che la senatrice ha saputo utilizzare con grande puntualità e competenza. Posso dunque tentare un ragionamento assai differente.
Sono tornato in Parlamento, dopo un lungo intervallo di tempo, nel 2013. Già senatore nel periodo tra il 1994 e il 2001, mi capitò allora la fortunata opportunità di presentare uno dei primissimi disegni di legge, forse il secondo dopo quello della senatrice Alma Cappiello, in materia di unioni civili. Dico questo, perché tale circostanza mi consente di osservare con una certa attenzione le trasformazioni intercorse nella società nazionale tra la metà degli anni Novanta ed oggi, i grandi mutamenti nell’opinione pubblica e quella consapevolezza, oggi così matura, sul tema in questione.
Tuttavia, scorgo la riproduzione di un rischio ricorrente: il rischio è ancora quello di una sorta di falsa rappresentazione di un conflitto simulato tra due schieramenti fittizi, l’uno che si vorrebbe titolare esclusivo – questo è il punto: titolare esclusivo – di valori forti, di una concezione morale e di principi non rinunciabili né negoziabili e, all’opposto, uno schieramento che si concentrerebbe interamente su interessi parziali, circoscritti, di minoranza e, nella migliore delle ipotesi, di una sommatoria di minoranze.
Da una parte, dunque, l’etica e, dall’altra, il desiderio. Per un verso, una concezione ispirata da valori morali e, all’opposto, una concezione tutta di natura edonistica, consumistica, alla resa dei conti egoistica, della vita e delle relazioni sociali. Ecco, questo è il cuore della falsa rappresentazione che rischia di dominare la discussione pubblica, perché io penso l’esatto contrario. Penso che nella domanda di unione civile ci sia e possa esservi una forte istanza morale.
Cos’altro è, se non un’istanza morale, quella che motiva un’unione che si affida alla reciprocità, alla mutualità, al vicendevole affidamento, all’assistenza, alla proiezione nel tempo, alla stabilità e, infine, alla coniugalità e alla genitorialità? E non è tutto questo forse la base morale di una relazione e di un’unione civile?
E non è tutto questo, forse, la base morale di una relazione e di un’unione civile? Non è forse questo un fattore che può contribuire a rafforzare la coesione della comunità e a ridurre il disordine sociale?
Ecco, è questa una delle molte ragioni che mi inducono a ritenere come essenziale il disegno di legge in questione e a criticare incondizionatamente l’ipotesi che vorrebbe lo stralcio del capitolo sulle adozioni e l’amputazione, dal disegno di legge Cirinnà, di quella sua parte così significativa. Ritengo che chi persegue questa ipotesi riveli una sorta di impostazione economicistica, un’impostazione che propone uno scambio tra le garanzie materiali e sociali da un lato e la rinuncia al riconoscimento giuridico-morale dell’unione civile dall’altro; uno scambio, cioè, tra garanzie patrimoniali, previdenziali, ereditarie, fiscali, assicurative e amministrative e un’idea parziale e dimidiata della condizione omosessuale. Una condizione che, secondo questa impostazione, si presenterebbe come inevitabilmente monca; una condizione omosessuale che non prevede un cittadino intero e una persona intera, titolare di una dignità piena, senza eccezioni e senza deroghe, ma all’opposto presuppone una condizione omosessuale ridotta alla sua dimensione sociale e materiale e dunque priva di quei requisiti e di quei diritti che costituiscono il tratto proprio dell’unicità della personalità umana e della sua irripetibilità. (Applausi dal Gruppo PD).
Ecco, questo è il punto cruciale; io credo che sia questo il nodo che dobbiamo considerare e il punto sul quale dobbiamo riflettere ed impegnarci. Se noi non consideriamo questo tratto essenziale della personalità umana, che si traduce in una domanda e in un diritto all’affettività e alla pienezza emotiva, alla sessualità e al sentimento, alla genitorialità e alla coniugalità e a quel pezzo di felicità condivisa che ci è consentito, quel pezzo così limitato e gracile che ci è permesso in questo nostro mondo, alimenteremo comunque l’idea di un omosessuale dimidiato. Ed è quello che appunto non possiamo permettere con un provvedimento di legge; dobbiamo operare esattamente in una direzione opposta.
È per questo che lo stralcio significherebbe non solo accettare questa riduzione dell’omosessuale alla sua dimensione sociale e materiale (sacrosanta, legittima e da tutelare attraverso diritti adeguati, ovviamente essenziali); ma altrettanto inevitabilmente una simile impostazione ridurrebbe l’unione civile ad un mero contratto privato e dunque lo neutralizzerebbe di ogni suo contenuto morale, che è ciò che poi costituisce il cuore della domanda di unione civile come si è manifestata in questi anni.
Ecco, se noi consideriamo tutto questo, ci renderemo conto che la discussione pubblica in atto è, certo, un grande dibattito culturale e politico che richiama dilemmi morali e visioni del mondo, ma è in primo luogo, innanzitutto e soprattutto, un grande tema di uguaglianza e di pari dignità; e quello che può apparire una problematica di pochi, qualcosa che statisticamente riguarda alcune migliaia di persone, si rivela alla resa dei conti una questione di libertà per tutti. Allora siamo di fronte a una classica controversia: quella sul diritto ad avere diritti, ovvero sul fondamento stesso dell’idea di democrazia. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).