La nuova commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sui femminicidi si insedia per la prima volta mercoledì 12 luglio, come annunciato dal presidente del Senato Ignazio La Russa lo scorso 5 luglio in Aula.

Sarà composta questa volta da 18 senatori e 18 deputati, scelti rispettivamente dal presidente del Senato e dal presidente della Camera, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando la presenza di almeno un deputato per ciascun gruppo esistente alla Camera e di almeno un senatore per ciascun gruppo esistente a Palazzo Madama.

Per il Senato ne faranno parte: Ancorotti (Fdi), Biancofiore (Noi moderati), Bilotti (M5s), Campione (Fdi), Cosenza (Fdi), Cucchi (Avs), D’Elia (Pd), Fallucchi (Fdi), Furlan (Pd), Leonardi (Fdi), Maiorino (M5s), Romeo (Lega), Sbrollini (Iv), Ternullo (Fi), Testor (Lega), Tosato (Lega), Unterberger (Svp), Velenate (Pd). Per quanto riguarda i parlamentari della Camera ci saranno: Almici (Fdi), Ascari (M5s), Caretta (Fdi), Carfagna (Azione), Dalla Chiesa (Fi), Ferrari (Lega), Forattini (Pd), Gebhard (Svp), Ghio (Pd), Lancillotto (Fdi), Loizzo (Fdi), Morfino (M5s), Patriarca(Fi), Pulciani (Fdi), Ravetto (Lega), Semenzato (Noi Moderati), Zanella (Avs), Zurzolo (Fdi).

Non si conoscono ancora i nomi dei parlamentari che comporranno l’ufficio di presidenza, che potrebbe essere questa volta guidato da un membro della Camera, visto che le prime due commissioni d’inchiesta coinvolgevano esclusivamente senatori. Ma per questo bisognerà aspettare l’insediamento della bicamerale mercoledì.

Dopo le critiche arrivate all’esecutivo all’indomani dell’uccisione della 17enne Michelle Maria Causo – dopo l’approvazione in via definitiva in Senato del ddl che istituiva la bicamerale ci sono voluti quasi cinque mesi per avviare i lavori – partirà la nuova commissione d’inchiesta, che avrà il compito soprattutto di svolgere indagini sulle reali dimensioni del fenomeno dei femminicidi e di ogni forma di violenza maschile contro le donne, e di monitorare sullo stato di attuazione della Convenzione di Istanbul.

Il via libera, all’unanimità, del ddl a prima firma della senatrice Valeria Valente – “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” – era arrivata a febbraio (il provvedimento, dopo un primo ok al Senato a novembre, aveva subito delle modifiche in commissione a Montecitorio, e dunque era tornato una seconda volta al Senato). La commissione precedente, attiva dal 23 marzo 2018 al 12 ottobre 2022, che aveva interrotto le sue attività con la caduta del governo Draghi, era presieduta da Valeria Valente. Alla parlamentare dem, chiamata a far parte della bicamerale, abbiamo chiesto quali dovranno essere gli obiettivi della nuova commissione, che dovrà indirizzare le politiche del governo Meloni.

Senatrice, che idea si è fatta dei ritardi? Perché dopo l’ok a febbraio la commissione si sta insediando solo adesso?

Se guardiamo alle ragioni che ci spingono a istituire nuovamente questa commissione, il ritardo è grave e inaccettabile. Però a mio avviso non c’è malafede, perché anche la commissione precedente si era riunita mesi dopo il voto. C’è sicuramente disattenzione, una scarsa consapevolezza da parte della politica, senza distinzioni, di quanto questa commissione possa incidere sul fenomeno. Perché al ritardo nell’istituzione si somma anche un ritardo nel mettere in pratica le indicazioni date dalla commissione. Abbiamo concluso i lavori con 12 relazioni, approvate tutte all’unanimità, e per ognuna ci sono delle conclusioni e delle indicazioni chiare, oltre a un disegno di legge sulle statistiche di genere, fondamentale per avere dati certi sul fenomeno, che è stato approvato e che aveva bisogno dei regolamenti attuativi per diventare effettivo. Se dovessi guardare al livello di attuazione di quanto abbiamo suggerito, potrei dire che è stato fatto ad oggi il 15%, volendo essere generosi. La politica fatica a fare il salto di qualità.

Ci sono delle responsabilità che attribuisce a questo governo?

Non faccio distinzioni in questo senso, e riconosco anzi che nel provvedimento contro la violenza sulle donne che è stato varato dal nuovo esecutivo ci sono delle indicazioni giuste, che riprendono anche il lavoro fatto da noi in commissione. Ma si parte sempre dalla parte più semplice, cioè si agisce solo sul sistema penale, introducendo nuove fattispecie di reato o inasprendo le pene. Anche se questa volta c’è più attenzione sulle misure di prevenzione. Ma la parte più importante, la lotta ai cliché culturali, quella che dovrebbe portare a una svolta, viene ignorata.

Cosa dovrebbe fare la politica rispetto alle indicazioni che sono state date?

Innanzi tutto una legge sul consenso, che deve essere sempre chiaro esplicito da parte delle donne, per non configurarsi come violenza. Non sono le donne a dover dimostrare di aver detto no a un rapporto sessuale, ma è l’uomo che deve dimostrare che la donna era consenziente. Poi la politica deve occuparsi delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e nei luoghi di apprendimento, perché sono gli ambiti dove più si registra questa sperequazione di potere fra uomini e donne, visto che sappiamo che le donne difficilmente arrivano ai vertici e fanno fatica a fare progressioni di carriera. Ma soprattutto bisogna attuare una rivoluzione culturale, e per farlo bisogna investire soldi per campagne informative e per garantire formazione e specializzazione a tutti gli operatori della filiera, che non sono solo i giudici, ma anche coloro che lavorano nell’informazione, che devono essere in grado di riconoscere e raccontare la violenza contro le donne e distinguerla da altre forme di violenza. Bisogna investire poi su tutte le agenzie educative, non solo sulla scuola, perché questa da sola non può farcela. Se un ragazzo di 12 anni dopo le lezioni torna a casa e vive in mezzo a stereotipi di genere, con il padre che sta sul divano e la madre che si occupa di tutto a casa, l’impegno della scuola sarà inutile.

Ci vogliono soldi per investire nella rete antiviolenza, nei centri, che fanno opera di protezione, e la fanno spesso su base volontaristica. Ma soprattutto le operatrici dei centri possono educare e fare un’azione di formazione e specializzazione, per esempio alle forze di polizia o ai giudici.

Queste sono dunque le priorità della politica. E per quanto riguarda gli obiettivi della commissione? I lavori devono riprendere da dove si sono interrotti?

La nuova commissione dovrà completare quello che è rimasto in sospeso. Avevamo un quadro, credo che abbiamo raggiunto l’80% degli obiettivi che ci eravamo prefissati. Il 20% non è stato portato a termine un po’ per la fine prematura della legislatura un po’ per altri fattori, come il Covid-19.

Quali saranno dunque i prossimi obiettivi della bicamerale?

Sicuramente manca una fotografia più dettagliata del Sistema sanitario, per capire come risponde alla violenza. Una sorta di tagliando sulle linee guida per il Ssn che sono state varate nel 2017, in modo da comprendere se e come il Ssn accoglie le vittime di violenza. Un analogo lavoro va fatto poi sulle linee guida, varate dall’allora ministra Valeria Fedeli, che sono state adottate per la scuola e per l’università. E poi, un punto a cui tenevo particolarmente e che è rimasto in sospeso, bisogna dare le indicazioni al Parlamento per costruire una legge delega che indirizzi il governo a fare una legge quadro di sistema sulla violenza maschile contro le donne, come quella che è stata fatta in Spagna.

Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Per esempio abbiamo fatto una piccola rivoluzione nel sistema civile, dove la violenza era ritenuta estranea. Penso che sulla violenza maschile contro le donne abbiamo fatto dei passi in avanti. Ora però serve un ulteriore scatto: alla consapevolezza devono seguire azioni conseguenti, come appunto stanziare soldi e costruire percorsi obbligatori di formazione per tutti gli operatori, come nella magistratura o nel giornalismo.

Cosa cambia con la nuova composizione della commissione, che prima era monocamerale?

Questa nuova forma garantirà sicuramente più condivisione. Noi per esempio abbiamo presentato a marzo 2020 la legge sulle statistiche di genere, su iniziativa mia e di altri senatori componenti della Commissione di inchiesta sul femminicidio. Per approvarla alla Camera abbiamo dovuto aspettare aprile 2022. Abbiamo voluto togliere ogni alibi, in modo che in futuro un provvedimento non si blocchi solo perché magari viene percepito come appannaggio di un solo ramo del Parlamento. Mentre su questi temi è bene che ci sia una voce unica.

Pensa che lei potrebbe essere confermata alla guida della nuova commissione?

La presidenza della commissione verrà comunicata dopodomani. Se non dovessi essere confermata non la vivrei come una bocciatura, il cambiamento è una dinamica normale. Mi interessa solo che chiunque guidi la bicamerale non venga scelto per seguire una logica di spartizione. Perché le commissioni parlamentari d’inchiesta funzionano molto in base alla spinta e alla determinazione del presidente.

Lei ha fiducia in questo esecutivo? Pensa possa essere sensibile su questi temi?

Quando lo scorso 25 novembre abbiamo presentato l’esito di tutti i lavori, erano presenti sia Giorgia Meloni sia la ministra Roccella, che in quell’occasione hanno preso l’impegno di dare attuazione con i regolamenti alla legge sulle statistiche in materia di reati di violenza di genere. Ma fino ad ora non hanno fatto nulla.

E come giudica le parole che ha pronunciato la ministra Roccella in difesa del presidente del Senato, sul caso del presunto stupro di cui è accusato Leonardo La Russa?

La ministra ha perso un’occasione importante per dimostrare di essere dalla parte delle donne e di essere una femminista. Io da senatrice sono rispettosa della carica del presidente La Russa, anche se è quanto di più lontano da me, e neanche un ministro del governo dovrebbe avere problemi a dire che il presidente del Senato ha sbagliato clamorosamente, perché ha colpevolizzato lei e ha giustificato lui. Roccella ha detto che lo ha fatto perché è padre, dimenticando che La Russa è anche presidente del Senato, seconda carica dello Stato, e come tale avrebbe dovuto stigmatizzare quanto accaduto esprimendo fiducia nella magistratura. Come padre avrebbe dovuto semplicemente tacere, o al massimo avrebbe potuto dire che ha fiducia in suo figlio, ma mai avrebbe dovuto sostituirsi ai giudici, dichiarando suo figlio innocente, pronunciando una sentenza senza aspettare l’esito delle indagini. Un corto circuito senza precedenti. La ministra ha anche ricordato che La Russa aveva lanciato la manifestazione di soli uomini contro la violenza sulle donne. Forse avrebbe fatto meglio a non ricordarlo affatto.


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