“Ancora una volta l’Italia è condannata dalla Corte europea dei diritti umani in un caso di violenza contro le donne, per non aver adottato alcuna misura di protezione nei confronti di Maria Scavone per un periodo di 13 mesi e per la durata spropositata dei procedimenti penali scaturiti dalle denunce fatte dalla donna, che hanno in alcuni casi portato addirittura alla prescrizione del reato. Si tratta di una condanna che pesa, perché ancora una volta la CEDU certifica che le autorità italiane non hanno agito con la prontezza e diligenza richiesta in casi di questo genere”. Lo dice la senatrice Valeria Valente (PD), presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio.

“Con il Codice Rosso – prosegue Valente – è stata impressa un’accelerazione alla fase iniziale del procedimento, imponendo ai magistrati di ascoltare la donna al massimo 3 giorni dopo la denuncia, ma questa accelerazione fatica ancora a trasmettersi a tutto il procedimento, come sarebbe necessario. L’adozione tempestiva di misure cautelari, come chiede la CEDU, è correlata a un’adeguata lettura della violenza da parte dei magistrati e quindi alla corretta valutazione del rischio, possibile solo se gli operatori sono formati sulle dinamiche della violenza maschile contro le donne. Accelerare i tempi dei processi è necessario anche per non scoraggiare le donne dal denunciare. Con la denuncia le donne chiedono allo stato protezione e tutela, chiedono di aiutarle a porre fine alla violenza. Per questo occorre una giustizia certa e che arrivi a sentenza in tempi ragionevoli, anche per non vanificare il senso e l’efficacia delle misure cautelari”, conclude la Senatrice.


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