Il ritiro degli emendamenti del relatore Gianni Berrino (FdI) al ddl DIFFAMAZIONE (contenevano pene detentive e pesanti sanzioni pecuniarie a carico dei giornalisti) non spegne l’allarme del Partito democratico. In una conferenza stampa al Senato i dem segnalano quella che a loro giudizio è l’intenzione della maggioranza di usare questo veicolo legislativo per una “vendetta” nei confronti della libera informazione. “Noi abbiamo fortemente contestato – ha sottolineato il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia – non solo la norma ma l’atteggiamento della maggioranza, le modalità con le quali il Governo è intervenuto e il tentativo violento di intimorire la stampa e di imbavagliarla”. Per Boccia si tratta di un segno di una più generale “insofferenza ai meccanismi di controllo”, dei quali la stampa è un pilastro ma che riguarda anche quello che accade sul Pnrr e sul Def: “Il sistema di controllo del Parlamento è saltato, siamo in una condizione molto ma molto difficile, la maggioranza sta utilizzando i numeri e non la politica, forza le regole e toglie spazi di controllo del Parlamento”. Per il vicecapogruppo del Pd a palazzo Madama Alfredo Bazoli le intenzioni della maggioranza e del Governo “sono diventate più evidenti con gli emendamenti del relatore la settimana scorsa, con i quali si reintroduceva la pena della detenzione per i giornalisti con sanzioni pecuniarie molto elevate, che mettevano fortemente a repentaglio la libertà di stampa. Sanzioni dal sapore intimidatorio nei confronti dei giornalisti e dell’informazione. Quegli emendamenti presentati dal relatore, e ricordo – ha aggiunto – che un relatore di un testo di legge non si muove in autonomia ma tendenzialmente in accordo col Governo, sono stati ritirati, è una cosa positiva ma che non toglie la sensazione che ci ha lasciato: che parte della maggioranza vuole cogliere l’occasione non per bilanciare, equilibrare il rapporto fra tutela della reputasione e libera informazione ma vuole operare una forte stretta”. Bazoli ha ricordato che la recente direttiva europea su questi temi “è stata chiamata legge di Dafne, in ricordo della giornalista maltese Dafne Caruana, uccisa mentre aveva a suo carico 48 procedimenti legali, ovviamente e evidentemente di natura intimidatoria”. Walter Verini, dal canto suo, ha ricordato che nel 2022 “sono state 500 le liti temerarie a danno di giornalisti”. A suo giudizio “il tema emergenziale oggi, dopo che l’intervento dell’allora ministro Andrea Orlando aveva corretto alcune storture, non è la lesione della reputazione ma la tutela del giornalismo. Quello che accade con il servizio pubblico radiotelevisivo, con la stretta sulla pubblicazione delle notizie, con le pressioni sui giornalisti d’inchiesta, con la compravendita dell’Agi, con l’attacco alla par condicio, con l’attacco alle fonti… l’insieme di queste cose delinea un fastidio per i controlli, i contropoteri democratici sanciti dalla Costituzione, come l’attacco alla magistratura, ai poteri indipendenti e al contropotere dell’informazione”. “Stiamo discutendo – ha osservato dal canto suo la vicepresidente del Senato, Anna Rossomando – del rapporto tra la libertà e il potere, questo interroga le democrazie moderne e la direzione che debbono prendere, se vogliamo chiamarle democrazie liberali. Quando parliamo delle intimidazioni ai giornalisti stiamo parlando del fatto che è inaccettabile il fatto che qualcuno decida cosa si può e cosa non si può dire, e che lo faccia chi è più forte, chi ha il potere”. “Dietro all’intervento del relatore – ha detto in conclusione Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd – è difficile pensare che non vi fosse il sostegno, l’accordo se non proprio una iniziativa governativa. Il Governo ci sta abituando a una sorta di panpenalismo emozionale, una spinta repressiva che in questo caso sembra volontà vendicativa nei confronti del giornalismo”.


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