Giorgio Napolitano ha incarnato per me il meglio della sinistra italiana ed europea. Una sinistra che ha tratto le sue radici dalle battaglie per la libertà e la democrazia. E che si è ritrovata (avendola addirittura firmata con Umberto Terracini) nella Carta Costituzionale. Una sinistra immersa non tra la “gente” ma nel popolo. Che era e rappresentava il popolo e, insieme, era e rappresentava mondi della cultura, dei saperi, della scienza, della produzione. Una sinistra – per Napolitano quella del PCI fino al 1989 – che ha scontato grandi limiti nel rapporto con l`Unione Sovietica, nel lungo tempo della guerra fredda, nella divisione del mondo in campi. Ma una sinistra figlia anche della lezione gramsciana e in parte togliattiana. Protagonista della Resistenza insieme a forze di altre ispirazioni democratiche. E che aveva quindi nel proprio DNA i valori della democrazia e della libertà, del pluralismo, insieme a
quelli dell`emancipazione e della giustizia sociale. Con contraddizioni? Certamente. Con limiti, almeno fino alla condanna dei carrarmati sovietici che schiacciarono la Primavera di Praga nel `68? Sì, dopo avere perduto l`occasione storica di non condannare l`invasione sovietica dell`Ungheria nel 1956. Ma queste contraddizioni forgiarono una classe dirigente che seppe far prevalere il senso delle Istituzioni. Le ragioni dell`interesse generale del Paese. Il profilo di una sinistra che non voleva guardare i cambiamenti dal buco della serratura, ma provare a viverli e governarli. Napolitano e il filone più riformista del PCI (penso all`Amendola che nel `64, all`alba del primo centro-sinistra, lanciò l`idea dell`unificazione tra PCI e PSI) si batterono dentro il PCI per l`affermazione di una sinistra moderna e innovatrice. Che non avesse paura di una “parolaccia” come riformista (pur di non pronunciare “riformisti”, si usava il termine “riformatori”, e poi “riformismo forte”…). Non tenendo conto che un autentico riformismo è quello che si nutre di valori e ideali anche radicali e di concretezza delle soluzioni. Altri- menti, senza radicalità di valori e di visione non c`è riformismo ma pragmatismo. E senza concretezza e realismo di soluzioni ci sono astrattezza e vocazione minoritaria. Giorgio Napolitano (e con lui i Bufalini, Chiaromonte e Macaluso, Lama…) spinse molto, a volte in minoranza, per stimolare il partito a percorrere ineludibili tratti di strada. Berlinguer contribuì con il suo grande carisma, con il suo straordinario profilo etico e politico a far avanzare il PCI in questa direzione. Entro i limiti del suo tempo. Entro i limiti della responsabilità di un segretario di “tenere” unito il partito. Che tuttavia resse alle prove fondamentali della difesa della democrazia dal terrorismo (anche di quello che Rossanda definì dell-album di famiglia”). Napolitano rappresentò l`avanguardia di certe direzioni di marcia. L`Europa, la socialdemocrazia europea, un rapporto positivo con gli Stati Uniti. La tutela delle istituzioni democratiche come patrimonio della democrazia e di tutti i cittadini. Una visione non chiusa dello scontro sociale e delle relazioni industriali. La sinistra di Ingrao, per semplificare,
era invece più attenta e curiosa a stimolare ricerca e attenzione su temi inediti per il Novecento: ” il vivente non umano”, la radicalità del pensiero femminista, i diritti individuali. Ho sempre pensato alla ricchezza ideale e politica dei comunisti italiani (italiani) del lavoro di sintesi esercitato da Berlinguer (entro i limiti del suo tempo), sintesi che in realtà trovò evoluzione solo nella fine del PCI, nella nascita del PDS di Occhetto e nella nascita del PD di Veltroni, come figlio naturale (nato dieci anni dopo) di quell`Ulivo `96, strozzato nella culla, tra l`altro, da un partitismo miope. Sia nell`89 che nel 2007 Napolitano sostenne con decisione le “svolte”, comprendendo come una storia si fosse esaurita, come fosse necessario piantare nuove radici sulle vecchie, innestando nella cultura del socialismo democratico ed europeo (per lui la strada maestra) nuove culture riformiste. E c`è poi il Napolitano uomo delle istituzioni. In un libro-intervista con Luciano Lama che pubblicai nel 1996, il leader sindacale “profetizzò” di vedere bene Giorgio Napolitano nelle “più alta magistratura dello Stato”. Già aveva dato prove di grande autorevolezza istituzionale guidando la Camera dei deputati negli anni difficili di “Mani pulite” e di quella fine della Prima Repubblica che in realtà non è mai finita. Vedeva giusto Lama. Dopo la Presidenza di Montecitorio, dopo essere stato il primo ministro dell`Interno ex-comunista, dopo una intensa esperienza al Parlamento europeo (un po` un suo ambiente naturale), l`elezione al Quirinale fu, nel 2006, il compimento straordinario di un percorso straordinario. E se sette anni dopo, in un`altra difficilissima fase politica e istituzionale, tutto il Parlamento gli chiese di rimanere a garantire quella guida, quell`equilibrio, quell`essere riferimento per tutto il Paese, beh, volle dire quanto Giorgio Napolitano fosse riuscito a interpretare quel ruolo con quel rigore, quel profilo, quella naturale eleganza istituzionale, quel necessario “interventismo” che – nell`alveo della Costituzione – si
richiede a un Capo dello Stato in momenti di paralisi della politica e del Parlamento. Non è questa sede di bilanci. Molti sono stati i momenti “alti” del mandato presidenziale di Napolitano. Lo sferzante discorso al Parlamento dopo la sua seconda elezione e la lettera allo stesso Parlamento sull`emergenza carceri sono stati per me tra i più memorabili. Ho molti ricordi personali del rapporto con Giorgio Napolitano. Nello scrivere questi pensieri non nascondo emozione e commozione. Da giovane dirigente locale del PCI lo invitai più volte a manifestazioni politiche, che ebbi l`onore di introdurre. Quando nacque, nel 1989, l`area riformista nella trasformazione da PCI a PDS, ne divenni coordinatore in Umbria (l`unica area politica culturale – non corrente – di cui ho fatto parte nella mia vita) e i rapporti erano frequenti. Tengo per me il ricordo di qualche colloquio nel suo studio al Quirinale, o in quello di Senatore a vita a palazzo Giustiniani, di qualche telefonata personale. Di biglietti vergati rigorosamente a mano. Il rigore era la sua cifra, insieme ad una elegante ironia nel “rimproverare” atteggiamenti e scelte considerati non pienamente rispettosi delle istituzioni e poco coerenti con una sinistra che deve guardare al futuro. Penso che Napolitano mancherà alle istituzioni, al Paese, all`Europa. Sono sicuro che mancherà a me.


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