La politica, un partito, un movimento politico dovrebbero essere ed essere percepiti come utili agli altri, alla comunità nazionale o locale. Le persone militano, votano, simpatizzano per un partito quando sentono che quel soggetto, per il suo modo di essere, per la capacità di vivere e condividere i problemi della vita vera prova a dare risposte. A partire da quelle delle fasce più fragili e insicure, più spaventate. Questo, secondo me, è il problema – tra i tanti che investono il Pd – che li precede tutti. È credibile il Partito Democratico come soggetto utile alla collettività? O piuttosto siamo percepiti come una associazione prevalentemente utile a chi sta già dentro il partito? Due numeri. Oltre 7 milioni sono gli iscritti agli albi del volontariato. Meno di un milione quelli iscritti a tutti – tutti – i partiti politici, la cui credibilità complessiva è data non solo dai sondaggi, ma anche dall`inesorabile crescente astensionismo. È questo, per me, il punto di partenza dal quale si dovrebbe muovere per la “rifondazione” del Pd. Ridare innanzitutto senso, passione, generosità, con gesti ed esempi, alla politica. Mi viene da dire “Bergoglizzare” la politica e, per quanto ci riguarda, il Partito Democratico. Se non lo fanno i partiti leaderistici, quelli che nascono, vivono e deperiscono attorno ad un capo, le conseguenze sono relative. Se non lo fa una forza di sinistra sono incalcolabili. Dobbiamo prendere esempio dal volontariato. Dobbiamo dare le chiavi dei circoli chiusi (o che aprono solo in occasione delle “conte”) alle persone democratiche, di sinistra che fanno volontariato. Dobbiamo chiedere ai nostri militanti (ce ne sono ancora tanti, generosi) di “contaminarsi” con queste realtà. Noi, quando ci svegliamo la mattina, non abbiamo gli occhi rivolti a quello che succede fuori, nella società. Non siamo in “simpatia” con i protagonisti della vita vera. Anche dove vivono esempi virtuosi di gestione del potere locale (e ce ne sono tanti: penso ai Comuni) non è sufficiente tenere con il popolo solo un rapporto mediato dalle istituzioni. Ci vuole qualcosa, un partito aperto (né pesante né leggero, ma radicato e aperto. Copyright Lingotto, Veltroni), che si prenda la briga di stare dove c`è la vita. La vita di chi soffre, di chi non ce la fa, innanzitutto. Di chi non ha lavoro o ha un lavoro povero e sfruttato. Di chi ce la faceva fino a qualche tempo fa e ora si trova a vivere una condizione di precarietà e insicurezza. E di paura. Di chi non vede futuro, a partire da tanti giovani. Ma anche di chi si rimbocca le maniche, intraprende, ha tenuto duro durante e dopo lo tsunami della crisi e della pandemia e ora della crisi energetica. Penso a centinaia di migliaia di imprenditori, artigiani e commercianti, albergatori e ristoratori, imprese dello spettacolo. E l`Italia. A questa dobbiamo guardare e rivolgerci. Di questa dobbiamo condividere ansie e aspirazioni. E provare a dare le risposte che una forza di sinistra non a vocazione minoritaria deve dare. È questa l`ossessione che dobbiamo avere, non quella di dividerci se guardare a Conte o a Calenda-Renzi. E poi meno ansia di futuro personale, meno correntismo. Potere come mezzo, non come fine e più lotta tra le idee. Erano queste, del resto, le fondamenta sulle quali nacque il Pd nel 2007, che pochi mesi dopo raccolse 12.100.000 voti, con oltre il 33%. È questa la prima identità, il primo profilo che il PD dovrebbe ridarsi. Ma così come siamo fatti, rischiamo di non farcela. Non è, per me, solo un problema di “tornare alle ideologie”, magari novecentesche. A ideali, valori, questo sì. C`è molto da cambiare da quando il Pd nacque (figlio tardivo dell`Ulivo: doveva nascere dieci anni prima, se la sfida di Prodi e di Veltroni non fosse stata uccisa nella culla). C`è stata la bolla di Wall Street e un decennio di gravissima crisi economica e finanziaria. E la drammatica e sconvolgente pandemia globale con le conseguenze sanitarie e sociali che il mondo ha vissuto. Poi la guerra scatenata da Putin, la crisi dell`energia, che apre nuovi scenari e nuove sfide geopolitiche. È persino ovvio sostenere che occorre ridefinire un profilo, un programma e rivisitare profondamente le analisi con cui la sinistra – in tutto il mondo – ha vissuto la globalizzazione, non vedendone o sottovalutandone gli aspetti e le conseguenze legati a nuove diseguaglianze, nuove povertà, nuove precarietà. All`emergenza dei cambiamenti climatici. Sì, è cambiato tutto, ma è ancora valida l`idea di costruire un nuovo pensiero democratico dalle radici e dagli ideali antichi, dal rapporto con la società contemporanea, dalla visione e dalla voglia di costruire il futuro, senza guardarlo dal buco della serratura. Unire il meglio dei riformismi democratici, progressisti e di sinistra è ancora necessario. Altro che “sciogliere” il Pd. Sarebbe distruggere le fondamenta. E c`è poi un altro punto fondamentale. Nel nostro Dna c`è l`etica della politica. La questione morale di Enrico Berlinguer, che non voleva solo dire: guai a chi ruba. Questo è scontato peri nostri valori. Ma voleva dire anche che i partiti non devono occupare spazi impropri. Che le pratiche diffuse delle nomine negli enti statali, nelle partecipate locali fatte per fedeltà e non per merito e competenze debbono finire. E che le ambizioni non debbono sconfinare nell`arrivismo e nella politica come ascensore sociale per chi la pratica. Sobrietà, legalità, lotta alla corruzione (e alle mafie ) debbono tornare ad essere la carta d`identità del Pd. E se si allentano queste cose si fanno spazio anche pratiche e comportamenti (il caso di questi giorni a Strasburgo è un esempio devastante) che la politica non può in nessun modo tollerare, alimentare. Pena la sua totale perdita di credibilità. Che altro deve accadere perché questa questione morale torni ad essere piena consapevolezza e pratica concreta? Tutto ciò non può essere fatto “in vitro” o come fossimo in un “talent”. Apriamolo davvero questo congresso: penso a centinaia di incontri con quelle persone in carne e ossa, quei mondi sociali, quei corpi intermedi che citavo sopra. Da li nascerebbero proposte e idee da trasferire non solo in Parlamento, ma utili al profilo del partito. E questo sarebbe un pezzo di costituente, di rapporto vero con l`Italia. E avanti, con la costruzione del nuovo Pd, la scelta aperta e popolare della nuova leadership. Magari qualcuno potrebbe pensare: «Forse rinasce qualcosa di sinistra. Diamogli una mano». Ecco, evitiamo di chiudere ancora le porte, pratica purtroppo diffusa e consolidata e questa sì  da rottamare.


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