Il capogruppo Pd: in Senato il rischio di non raggiungere il numero legale è quotidiano
Senatore Zanda, come è stato possibile che nella legge per salvare la capitale fossero finite norme per mettere luci al led nei semafori e i fondi per il santuario di padre Pio? «Nella sua lettera a Grasso e Boldrini, che condivido dalla prima all’ultima parola, il presidente della Repubblica lo dice chiaramente: nel provvedimento sono stati aggiunti 10 articoli per un totale di 90 commi. E questo è uno degli effetti di una degenerazione che viene da lontano. Il procedimento legislativo si è andato via via deformando negli ultimi venti anni ed oggi la malattia è ancora più evidente. C’è stato un progressivo svuotamento della funzione legislativa del Parlamento. Una dozzina di anni fa Berlusconi arrivò a dire che l’Italia si poteva governare con le ordinanze della Protezione Civile. Poi c’è stato un violento incremento della decretazione d’urgenza e ora anche la crisi economica purtroppo spinge verso l’urgenza e l’uso del decreto legge».
Dicono che a suggerire uno stop fosse anche un serio rischio di mancanza del numero legale al Senato per il voto finale a Capodanno. C’era un pericolo reale per il governo?
«Uno degli effetti più pericolosi del porcellum è proprio la diversa maggioranza che produce alla Camera e al Senato. Oggi a Palazzo Madama la maggioranza è di sette senatori, quindi molto ridotta. Il problema del numero legale è quotidiano. Non è solo un problema legato ad un voto a ridosso di capodanno. In effetti con qualche senatore malato i rischi ci sono».
Lei sente di aver fatto il possibile per limitare la smania emendativa dei suoi senatori?
«Si può sempre fare meglio, non c’è dubbio. Il giorno dell’incidente sull’emendamento sulle slot machine ho allertato per lettera tutti i senatori del Pd chiedendo loro una vigilanza rigida sui contenuti, non solo dei nostri, ma anche degli emendamenti degli alleati, dell’opposizione e anche del governo. Capita infatti che parlamentari presentino emendamenti su richiesta dell’esecutivo».
Ma quanta responsabilità ha avuto il governo nell’essere troppo di manica larga con le richieste dei partiti?
«La radice del pericolo sta nell’eterogeneità delle materie di questi provvedimenti. Quando un decreto regolamenta troppe materie diverse fra loro, aumenta la possibilità di sbagliare, perché aumenta il numero degli emendamenti e la loro varietà. La raccomandazione principale è che i decreti riguardino una sola materia, il che rende più facile il controllo e l’inammissibilità, e più ordinata la produzione legislativa».
Sono anni che si tenta di armonizzare i regolamenti di Camera e Senato. Quello di Palazzo Madama ha le maglie più larghe per l’ammissibilità degli emendamenti?
«Non direi. È vero che si potrebbero irrigidire le maglie in entrambi i rami
del parlamento, ma sull’ammissibilità la discrezionalità dei presidenti di Camera e Senato è ampia. Il capo dello Stato invita a rendere i regolamenti più rigidi sull’ammissibilità. Ma già oggi i presidenti, usando la loro discrezionalità, possono stringere molto le maglie».
La Boldrini vuole portare presto in aula il nuovo regolamento della Camera. Al Senato come procederete?
«Sono otto anni che mi batto con proposte di modifica del regolamento del Senato. La modifica dei regolamenti è un momento decisivo dell’ammodernamento dello Stato ed è un peccato non esserci riusciti: non tanto per vere contrarietà nel merito, quanto per disinteresse diffuso. Servono modifiche regolamentari che prevedano tempi certi per l’approvazione dei disegni di legge. Così si potrebbe limitare l’eccessivo ricorso ai decreti».
Ma a che scopo intervenire ora sul Senato se verrà trasformato in Camera delle regioni
?
«Bisogna procedere alla revisione della Costituzione trasformando il Senato in una Camera delle Autonomie. Ma per farlo serve almeno un anno, mentre i regolamenti si possono modificare in poche settimane».
Lei ci crede all’abolizione del Senato nella versione proposta da Renzi, eliminando del tutto i senatori eletti?

«Il bicameralismo perfetto ha provocato enormi lungaggini e distorsioni nel processo legislativo e la riforma deve escludere la possibilità di due Camere che danno la fiducia al governo. Da qui la necessità che una delle Camere non abbia parlamentari eletti. Il voto conclusivo sul Senato può arrivare entro il 2014».

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