E’ uscito per Einaudi il nuovo libro di padre Giulio Albanese, il missionario che in questi anni ci ha dato dell’Africa uno scenario tra i più aggiornati della condizione, a dir poco miserevole, in cui continuano a lucrare le economie dei capitalismi storici, oggi anche geografici, che detengono il 90% della ricchezza mondiale.
Questo libro sulle “vittime e i carnefici” del nostro tempo -la scelta è di un editore da sempre inclíne a occuparsi di questioni alte – si rivolge a un umanesimo indebolito dall’inoltrarsi di una modernità che indulge all’impoverimento delle regole e della responsabilità, anziché chiamare a “far nuove, anche noi, tutte le cose”, lasciandole addirittura andare come se prevalesse un disamore, fino all’indifferenza, che accresce i poteri è diminuisce i diritti.
Mi è parso ragionevole cogliere all’interno dei volume un argomento che, senza limitarne la complessità, suscitasse un interesse particolare per un ipotesi post-modernista in cui Albanese vede la prospettiva di un vicolo cieco, cioè alle soglie di un pericolo che minaccia gravemente “l’umanesimo occidentale”. L’improvviso, tragico evento dell’un- dici settembre 2001- quando le Torri Gemelle f uro-no investite dall’irrompere di due aerei di linea nel costato di quei grattacieli – era làprima, sconvolgente azione terroristica messa in atto per annunciare una realtà dalla dimensione orrendamente violenta, “frutto di una proiezione religiosa e culturale”; al fine di rivendicare, nel nome di Dio, una rivalsa storica presa In carico dalla politica del terrore, cioè dal lasciti di due “devastanti e inutili guerre occidentali”, responsabili del disordine prodotto nell’intera area medio-orientale; in cui era rimasto anche il ricordo dei morti di cancro dovuti all’uso di “uranio impoverito”, a lungo nascosto e vanamente denunciato. Ed eccoci, per sommi capi, all’esplosione del “Califfato” sorto dal fondamentalismo, ii più feroce e indiscriminato strumento di una radicalità musulmana antropologicamente islamista.
Il racconto di Giulio Albanese é 1’ineditaanalist di un fenomeno non proprio accessorio. Perché? Lo dice il libro: perché da una grande divisione religiosa, che traeva le sue origini da una storia di inestinguibili errori, si è affacciata l’idea che «sarà uno scontro di civiltà a dominare la politica mondiale». È la perentoria conferma di quanto Albanese aveva colto nel lavoro dello studioso statunitense Samuel P. Huntington, secondo il quale «i conflitti più importanti avranno inizio dalle grandi identità culturali e religiose del pianeta». Albanese, che dalle profezie sa prendere ragionevoli distanze, respinge a priori l’idea di sottrarre all’uomo l’intera concezione – con le relative responsabilità – del suoi diritti umani, prescindendo dalle conquiste democratiche ed esentandolo da cruciali e molteplici doveri civili, cioè dagli obblighi sociali, dall’imprescindibile funzione della politica, dalle tradizioni, peri appunto eulturali e religiose, dagli orientamenti artistici, filosofici e antropologici, infine dai suoi principi etici, che rappresentano gelosi valori collettivi, tanto più irrinunciabili quanto più andasse scemando un’identità non solo storica, ma anche di costumi quotidiani e personali.
Il libro coglie una questione che implica visioni si direbbe ispirate da antiche scuole risorte su misura. Il fenomeno del clash of civilizations, contro ogni immaginazione, non è solo il parto vagamente mitologico, e persino messianico, di drammatiche reviviscenze oggi soggette ad aggiornamenti. addirittura politologici; è davanti a noi un islamismo moderato, tenuto in vita dal ricatto politico del `°Califfato°, con un “terrore” sensibile alle sorti progressive o regressive del petrolio, la cui “logica” non è estranea alle propensioni del professor Huntington, che nel. 1996 ha perfezionato, per dir così, il suo pensiero: «Le grandi divisioni dell’umanità, e la sola forma di un ‘conflitto fondamentale, non saranno né ideologiche, né economiche, perché le linee di frattura tra le coalizioni d’oggi diventeranno le “future civiltà prodotte dalle identità culturali e religiose post-guerra fredda”». Lo studioso ha trascurato un particolare: che un bel pio d’America, della Russia e del mondo arabo continueràagarantire una “npr a1ità’gov. cr;., nata dal petrolio, e succedanei, cioè dai còmpràinessi economicistici, presenti e futuri, nemici di ogni “astrazione dalla realtà”. Senza dire, bontàloro, delle incognite, non proprio accessorie, dei patrimoni nucleari.
Ben altro respiro e soprattutto fondamento, avrebbe la fiduciosa utopia di reciproche conversioni per esempio tra ebrei e cristiani che Andrea Riccardi, su Sette, riferisce ai dialoghi solidali e ai vincoli spirituali che il Vaticano favori, tra il ’43e il ’44, quando «la guerra avvicinò le fedi».
Qui, il disinvolto disegno di omologare religioni e culture per ridurre, fino a disarmare, le più disparate, ipotetiche conflittualità, riporta alla mente l’iniziale, ancora incerta visione di Hitler quando, ai suoi esordi, accettò di buon grado che sulla bandiera con la croce cristiana di alcuni gruppi cattolici, presto distrutti, fosse impressa, nientemeno, la svastica: una breve, subdola e compiaciuta veggenza, per qualche verso conducibile allo sconsiderato progetto di «nuove, omologhe, pacifiche alleanze», rimasto un dettaglio appena rintracciabile nella sto ladl reali, tragiche realtà. Va da sé che il libro è nuturaliter interessato a giudicare temerari i presupposti, culturali e religiosi, la cui natura rappresentino una civiltà fondata sull’incontro privilegiato di alcune più rassicuranti, omologhe dimensioni.
Giovanni Paolo II, nello “Spirito di Assisi”, indicò ur viatico che aveva già un ‘ “intelligenza nuova”. Ho in mente il momento centrale delle parole rivolte ai rappresentanti delle grandi confessioni planetarie. «Non si dovrà più parlare di guerre nel nome di Dio, ma neppure potrà darsi che da un pulpito o una cattedra, da una panca o uno stuoino, sia ammessa la pretesa che la propria preghiera salga più in alto di tutte le altre».
Non sembri vano, dice Albanese, porsi il problema di una “nuova intelligenza” che corrisponda a una civilizzazione nutrita, ovviamente, annhe da valori culturali e spirituali; gli è che qualunque aspirazione realmente democratica deve disporsi ad accompagnare l’umanità in tutti i suoi processi legittimi e plurali. Annota Albanese, porsi il problema del resto, una conquista laica riaffermata e difesa, conclude padre Giulio citando l’enciclica Evangelii gaudium di papa Bergoglio, «deve prendersi cura del grano senza perdere la pace. a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano; non ha reazioni lamentose né allarmiste». Trova il modo di far sì che la Parola s’incarni nella realtà ispirando o sostenendo progetti per una vitas nuova persino se imperfetti o inconcludenti.
Sembra di ascoltare il grido di Francesco, a Lampedusa, rivolto agii scafisti: «Dov’è li sangue di tuo fratello, che urla fino a noi? Tanti di noi, mi includo anch io, siamo disorientati di fronte al mondo in cui viviamo, incapaci di custodirci l’uno l’altro. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo si giunge a tragedie come questa a cui stiamo assistendo».
Giulio Albanese ne ha tratto un libro che ci aiuta a far luce anche su aspetti meno esplorati di questa complessa materia, e gli va riconosciuto il merito di averla risolutamente affrontata.


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