Nel dibattito sulle riforme continua a mancare anche solo la citazione del partito politico, la cui importanza è decisiva per scegliere tra le opzioni di riforma.
E, in particolare, tra quelle che riguardano la forma di governo. I partiti politici sono soggetti cui la Costituzione dedica l`art. 49, annettendo ad essi importanza centrale nella definizione dell`identità democratica del nostro sistema.
Ma dire «partito» oggi è come pronunciare una bestemmia. «Dirigente di partito» è accezione negativa, le forme democratiche riservate agli iscritti vengono guardate con sospetto, e non parlo del c.d. finanziamento pubblico, che per essere politically correct non può che essere abolito, facendo finta di non sapere che anche l`uno per mille è un costo pubblico, e che in questo Paese le lobbies non sono regolate, e i poteri criminali hanno una tale disponibilità di capitale da fare un sol boccone di un partito intero, e neanche tra i più piccoli. Allo stesso modo chi ripropone un disegno di legge di attuazione dell`art. 49 della Costituzione, fondato sull`ovvia (?) considerazione che i partiti devono garantire la pubblicità e il controllo dei propri bilanci e assicurare democrazia interna e controllo sugli iscritti per corrispondere al profilo disegnato dall`art.49 della Costituzione, viene considerato un nemico della democrazia e un pericoloso eversore (nel silenzio imbarazzato dei tanti parlamentari che quella proposta di legge avevano firmato nella precedente legislatura e in questa, e che di quella proposta si erano fatti orgogliosi propugnatori in campagna elettorale, trattan- dosi di uno degli otto punti programmatici del Pd).
Non voglio fare polemica. Voglio solo sottolineare – direi freddamente – che la nostra linea di «resistenza politica e culturale» nei confronti di chi ha una esperienza assai diversa dalla nostra e una diversa idea del ruolo, della funzione e dell`utilità di un partito è abbastanza fragile.
Eppure la natura e la qualità dei partiti è essenziale per le scelte di riforma di cui tanto si parla. Faccio un esempio per intenderci. Il sistema di governo semi presidenziale, con l`elezione diretta del Capo dello Stato è una forma adottata nei Paesi della cui qualità democratica nessuno dubita. Non ho dunque nessuna difficoltà verso il modello teorico, e non mi turba il fatto che di essa si discuta come una delle riforme possibili.
Ma se trascuro di partire dalla realtà italiana così come essa è per valutare la utilità e, insieme, la affidabilità risolutoria di quel modello rispetto ai problemi istituzionali che ci preoccupano, non posso che collocare la scelta valutando i partiti italiani così come sono oggi. Il sistema politico italiano è popolato, per la sua maggioranza, da partiti personali o leaderistici e questo mentre imperversa il populismo accentuato da una crisi economica e sociale straziante.
Questo cambia l`analisi. Da una parte accentua il rischio di una deriva culturale che individua la «salvezza» nel rafforzamento, tramite l`elezione popolare, dell`autorità del Presidente, dall`altra mente, perché non basta un Presidente direttamente eletto e un Parlamento rappresentativo per salvare la Repubblica, se debole è il sistema dei partiti.
La Repubblica di Weimar, che aveva tutti questi attributi istituzionali, fu l`anticamera dell`ascesa del partito nazional-socialista per la debolezza il frazionamento e la rissosità dei partiti.
Ecco perché insisto affinché la questione dei partiti, e del mio partito, venga adeguatamente affrontata. Ecco perché questo deve essere uno dei temi essenziali del congresso.
Si obietta che la «forma partito» tradizionale è roba per il Novecento, e che oggi la partecipazione vive di ben altro che le discussioni nei circoli o le riunioni in Direzione. Ora va di moda e trionfa la «rete». Soggetto mitico per alcuni, sostitutivo addirittura della parola «popolo» o di quella di «cittadini» per altri.
Ma la rete, le primarie, i gazebo sono strumenti dell`attività politica. E quante altre forme di partecipazione alla vita politica del Paese sperimenteremo, e quanto più introdurremo nell`ordinamento strumenti di democrazia diretta, a cominciare dalla valorizzazione delle proposte di legge di iniziativa popolare, tanto meglio sarà. Ma con la consapevolezza che la forma resta quella della democrazia rappresentativa, cifra della Costituzione, non quella della democrazia diretta, e che questo vale per il sistema istituzionale ma anche, fatte le opportune differenze, per i partiti che dovrebbero essere organismi democratici che «decidono» politicamente. Francamente ho l`impressione che stiamo invece, smarrendo la strada.
Alfredo Reichlin e Mario Tronti hanno scritto su questo cose serie che condivido. E in nessuno di loro, né in me, c`è l`idea di un partito come forma conservativa di elites e notabilati politici, né, e tanto meno, come dice Reichlin, di partito che sia cartello elettorale, bensì «partito… certamente pluralista ma cementato da un`idea comune del problema italiano e da una comune proposta di cambiamento».
Siamo già questo? No, non lo siamo completamente e, purtroppo, ogni giorno presenta smagliature di quell`impianto. Per questo è così importante che la discussione su questo occupi il nostro congresso. E per questo è importante che sia una discussione vera tra gli iscrit- ti. Fuori da questo, temo, la stessa forza del Pd rischia di deperire. E siccome la deriva personalistica, che considera il partito un trampolino di lancio, o un cavallo di Troia (il che si equivale, quanto agli effetti) è in agguato, e il pluralismo culturale e politico somiglia più ad una scomposta cacofonia piuttosto che ad una discussione plurale che abbia come unico fine quello di una decisione condivisa e della responsabilità (individuale e collettiva) che ne deriva, credo che ancora molto ci sia da fare.
Questo, ovviamente, sconta una sincerità di intenti che sarebbe bene esplicitare fino in fondo.
E, in particolare, tra quelle che riguardano la forma di governo. I partiti politici sono soggetti cui la Costituzione dedica l`art. 49, annettendo ad essi importanza centrale nella definizione dell`identità democratica del nostro sistema.
Ma dire «partito» oggi è come pronunciare una bestemmia. «Dirigente di partito» è accezione negativa, le forme democratiche riservate agli iscritti vengono guardate con sospetto, e non parlo del c.d. finanziamento pubblico, che per essere politically correct non può che essere abolito, facendo finta di non sapere che anche l`uno per mille è un costo pubblico, e che in questo Paese le lobbies non sono regolate, e i poteri criminali hanno una tale disponibilità di capitale da fare un sol boccone di un partito intero, e neanche tra i più piccoli. Allo stesso modo chi ripropone un disegno di legge di attuazione dell`art. 49 della Costituzione, fondato sull`ovvia (?) considerazione che i partiti devono garantire la pubblicità e il controllo dei propri bilanci e assicurare democrazia interna e controllo sugli iscritti per corrispondere al profilo disegnato dall`art.49 della Costituzione, viene considerato un nemico della democrazia e un pericoloso eversore (nel silenzio imbarazzato dei tanti parlamentari che quella proposta di legge avevano firmato nella precedente legislatura e in questa, e che di quella proposta si erano fatti orgogliosi propugnatori in campagna elettorale, trattan- dosi di uno degli otto punti programmatici del Pd).
Non voglio fare polemica. Voglio solo sottolineare – direi freddamente – che la nostra linea di «resistenza politica e culturale» nei confronti di chi ha una esperienza assai diversa dalla nostra e una diversa idea del ruolo, della funzione e dell`utilità di un partito è abbastanza fragile.
Eppure la natura e la qualità dei partiti è essenziale per le scelte di riforma di cui tanto si parla. Faccio un esempio per intenderci. Il sistema di governo semi presidenziale, con l`elezione diretta del Capo dello Stato è una forma adottata nei Paesi della cui qualità democratica nessuno dubita. Non ho dunque nessuna difficoltà verso il modello teorico, e non mi turba il fatto che di essa si discuta come una delle riforme possibili.
Ma se trascuro di partire dalla realtà italiana così come essa è per valutare la utilità e, insieme, la affidabilità risolutoria di quel modello rispetto ai problemi istituzionali che ci preoccupano, non posso che collocare la scelta valutando i partiti italiani così come sono oggi. Il sistema politico italiano è popolato, per la sua maggioranza, da partiti personali o leaderistici e questo mentre imperversa il populismo accentuato da una crisi economica e sociale straziante.
Questo cambia l`analisi. Da una parte accentua il rischio di una deriva culturale che individua la «salvezza» nel rafforzamento, tramite l`elezione popolare, dell`autorità del Presidente, dall`altra mente, perché non basta un Presidente direttamente eletto e un Parlamento rappresentativo per salvare la Repubblica, se debole è il sistema dei partiti.
La Repubblica di Weimar, che aveva tutti questi attributi istituzionali, fu l`anticamera dell`ascesa del partito nazional-socialista per la debolezza il frazionamento e la rissosità dei partiti.
Ecco perché insisto affinché la questione dei partiti, e del mio partito, venga adeguatamente affrontata. Ecco perché questo deve essere uno dei temi essenziali del congresso.
Si obietta che la «forma partito» tradizionale è roba per il Novecento, e che oggi la partecipazione vive di ben altro che le discussioni nei circoli o le riunioni in Direzione. Ora va di moda e trionfa la «rete». Soggetto mitico per alcuni, sostitutivo addirittura della parola «popolo» o di quella di «cittadini» per altri.
Ma la rete, le primarie, i gazebo sono strumenti dell`attività politica. E quante altre forme di partecipazione alla vita politica del Paese sperimenteremo, e quanto più introdurremo nell`ordinamento strumenti di democrazia diretta, a cominciare dalla valorizzazione delle proposte di legge di iniziativa popolare, tanto meglio sarà. Ma con la consapevolezza che la forma resta quella della democrazia rappresentativa, cifra della Costituzione, non quella della democrazia diretta, e che questo vale per il sistema istituzionale ma anche, fatte le opportune differenze, per i partiti che dovrebbero essere organismi democratici che «decidono» politicamente. Francamente ho l`impressione che stiamo invece, smarrendo la strada.
Alfredo Reichlin e Mario Tronti hanno scritto su questo cose serie che condivido. E in nessuno di loro, né in me, c`è l`idea di un partito come forma conservativa di elites e notabilati politici, né, e tanto meno, come dice Reichlin, di partito che sia cartello elettorale, bensì «partito… certamente pluralista ma cementato da un`idea comune del problema italiano e da una comune proposta di cambiamento».
Siamo già questo? No, non lo siamo completamente e, purtroppo, ogni giorno presenta smagliature di quell`impianto. Per questo è così importante che la discussione su questo occupi il nostro congresso. E per questo è importante che sia una discussione vera tra gli iscrit- ti. Fuori da questo, temo, la stessa forza del Pd rischia di deperire. E siccome la deriva personalistica, che considera il partito un trampolino di lancio, o un cavallo di Troia (il che si equivale, quanto agli effetti) è in agguato, e il pluralismo culturale e politico somiglia più ad una scomposta cacofonia piuttosto che ad una discussione plurale che abbia come unico fine quello di una decisione condivisa e della responsabilità (individuale e collettiva) che ne deriva, credo che ancora molto ci sia da fare.
Questo, ovviamente, sconta una sincerità di intenti che sarebbe bene esplicitare fino in fondo.