IN MOLTI DEI COMMENTI E DELLE ANALISI SULLE AMMINISTRATIVE 2013 SI È COMPIUTO UN ERRORE CHE I NOSTRI VECCHI avrebbero sintetizzato nel detto popolare di evitare di «mescolare le pere con le mele». Detto in altri termini, quando si confrontano i risultati elettorali è indispensabile ricordarsi delle differenti leggi che regolano i comportamento possibili degli elettori nella cabina elettorale.
Se così viene naturale – come hanno fatto tutti – verificare le differenze tra le politiche del febbraio scorso con le comunali di domenica e lunedì scorsi, non bisogna dimenticare, ad esempio, che l`elettore per la Camera poteva votare unicamente un partito e non il leader della coalizione, mentre per il comune poteva scegliere tra il voto al solo candidato sindaco oppure quello alla lista di partito, che in automatico andava a sommarsi per andare a comporre la cifra elettorale complessiva ai fini della competizione per il Sindaco. Inoltre, nelle comunali si è diffuso da tempo il fenomeno di presentare una lista civica del candidato sindaco, che non è mai presente, invece, nella scheda delle politiche, sottraendo, in larga parte, consensi alla lista del partito a cui appartiene il candidato sindaco stesso. Applicando questi correttivi i raffronti letti (e di conseguenza i commenti) in questi giorni sui media andrebbero perlomeno rivisti. Il caso di Roma, a riguardo, è esemplare. Nel centro-sinistra, la coalizione a sostegno di Bersani nelle politiche 2013 nella Capitale ha ottenuto 539.021 voti, mentre quella che appoggiava Ignazio Marino (sostanzialmente identica, ad eccezione dell`aggiunta dei 6.299 voti dei Verdi) si è fermato a quota 512.720, con un calo di 26.301 consensi (- 4.88%), nonostante un calo di votanti complessivo molto significativo e giustamente rimarcato da tutti i commentatori e gli analisti: meno 393.134 (- 24.0%). Nel centro-destra, invece, Alemanno ottiene 364.337 voti contro i 374.949 di Berlusconi: meno 10.612 (- 2.8%). Discorso molto diverso vale per il Movimento 5 Stelle che registra una autentica frana in termini di consensi, passando dai 436.340 voti di febbraio ai 149.665 di maggio: meno 286.675 (- 65.7% ovvero 2 elettori su 3). Segnali di criticità arrivano dal confronto delle performance dei maggiori partiti, Pd e Pdl, pur ragionando in termini di area di consenso allargato, ovvero sommando ai voti alla lista del partito anche quelli della lista civica collegata al candidato sindaco, non trascurando peraltro – quando si confrontano i valori assoluti e non le percentuali – una maggiore propensione al voto alle politiche rispetto alle comunali e la ricordata possibilità di votare solo per il candidato sindaco.
Il Pd passa dai 458.637 voti delle ultime politiche ai 343.099 delle comunali (Pd 267.605 più 75.494 della lista civica Marino), lasciando sul campo 115.538 elettori (- 25,2%, circa I elettore su 4). Dal canto suo il Pdl arretra dai 299.568 voti di febbraio ai 245.988 di maggio (pd1195.749 più 50.239 della lista civica pro Alemanno): meno 53.580 ( -17,88%, poco più di 1 elettore su 6). Una lettura che tenga conto delle specificità e delle differenti comportamenti possibili degli elettori in riferimento alle leggi elettorali, aiuta, dunque, da un lato a evitare affrettate conclusioni sia sul fronte dei sostenitori dei grandi partiti oggi alle prese con l`oggetto misterioso del governo di larghe intese sia quello dei laudatori di Grillo che hanno cercato di difendere la sconfitta del M5S annegandola nella più generale crisi della politica, rappresentata plasticamente dal calo dei votanti. Il caso di Roma è emblematico: i confini delle due principali coalizioni (centro-destra e centro-sinistra) si sono ridotti, in valore assoluto, ma di poco, mentre maggiore è stato il calo del Pdl e in particolare del Pd, che non poteva non risentire della Caporetto patita nella elezione del Presidente della Repubblica e successive dimissioni di Bersani. Ci sono evidenti motivi di riflessione autocritica – evitando di gettare la croce sui romani e sui giornalisti – per il M5S sia rispetto ai limiti del radicamento territoriale determinato dalla forma organizzativa del «non partito» sia sulle scelte quotidiane di un movimento entrato in Parlamento e conseguentemente costretto a confrontarsi con la questione delle alleanze e in definitiva sull`utilità concreta della loro presenza nelle Istituzioni per risolvere i problemi di coloro che li hanno votati. In definitiva, i dati elettorali non spiegano tutto, ma possono aiutare correggere gli errori. L`importante però è ricordarsi di non «confondere le mele con le pere», perché altrimenti si rischia soltanto di fare confusione.
Se così viene naturale – come hanno fatto tutti – verificare le differenze tra le politiche del febbraio scorso con le comunali di domenica e lunedì scorsi, non bisogna dimenticare, ad esempio, che l`elettore per la Camera poteva votare unicamente un partito e non il leader della coalizione, mentre per il comune poteva scegliere tra il voto al solo candidato sindaco oppure quello alla lista di partito, che in automatico andava a sommarsi per andare a comporre la cifra elettorale complessiva ai fini della competizione per il Sindaco. Inoltre, nelle comunali si è diffuso da tempo il fenomeno di presentare una lista civica del candidato sindaco, che non è mai presente, invece, nella scheda delle politiche, sottraendo, in larga parte, consensi alla lista del partito a cui appartiene il candidato sindaco stesso. Applicando questi correttivi i raffronti letti (e di conseguenza i commenti) in questi giorni sui media andrebbero perlomeno rivisti. Il caso di Roma, a riguardo, è esemplare. Nel centro-sinistra, la coalizione a sostegno di Bersani nelle politiche 2013 nella Capitale ha ottenuto 539.021 voti, mentre quella che appoggiava Ignazio Marino (sostanzialmente identica, ad eccezione dell`aggiunta dei 6.299 voti dei Verdi) si è fermato a quota 512.720, con un calo di 26.301 consensi (- 4.88%), nonostante un calo di votanti complessivo molto significativo e giustamente rimarcato da tutti i commentatori e gli analisti: meno 393.134 (- 24.0%). Nel centro-destra, invece, Alemanno ottiene 364.337 voti contro i 374.949 di Berlusconi: meno 10.612 (- 2.8%). Discorso molto diverso vale per il Movimento 5 Stelle che registra una autentica frana in termini di consensi, passando dai 436.340 voti di febbraio ai 149.665 di maggio: meno 286.675 (- 65.7% ovvero 2 elettori su 3). Segnali di criticità arrivano dal confronto delle performance dei maggiori partiti, Pd e Pdl, pur ragionando in termini di area di consenso allargato, ovvero sommando ai voti alla lista del partito anche quelli della lista civica collegata al candidato sindaco, non trascurando peraltro – quando si confrontano i valori assoluti e non le percentuali – una maggiore propensione al voto alle politiche rispetto alle comunali e la ricordata possibilità di votare solo per il candidato sindaco.
Il Pd passa dai 458.637 voti delle ultime politiche ai 343.099 delle comunali (Pd 267.605 più 75.494 della lista civica Marino), lasciando sul campo 115.538 elettori (- 25,2%, circa I elettore su 4). Dal canto suo il Pdl arretra dai 299.568 voti di febbraio ai 245.988 di maggio (pd1195.749 più 50.239 della lista civica pro Alemanno): meno 53.580 ( -17,88%, poco più di 1 elettore su 6). Una lettura che tenga conto delle specificità e delle differenti comportamenti possibili degli elettori in riferimento alle leggi elettorali, aiuta, dunque, da un lato a evitare affrettate conclusioni sia sul fronte dei sostenitori dei grandi partiti oggi alle prese con l`oggetto misterioso del governo di larghe intese sia quello dei laudatori di Grillo che hanno cercato di difendere la sconfitta del M5S annegandola nella più generale crisi della politica, rappresentata plasticamente dal calo dei votanti. Il caso di Roma è emblematico: i confini delle due principali coalizioni (centro-destra e centro-sinistra) si sono ridotti, in valore assoluto, ma di poco, mentre maggiore è stato il calo del Pdl e in particolare del Pd, che non poteva non risentire della Caporetto patita nella elezione del Presidente della Repubblica e successive dimissioni di Bersani. Ci sono evidenti motivi di riflessione autocritica – evitando di gettare la croce sui romani e sui giornalisti – per il M5S sia rispetto ai limiti del radicamento territoriale determinato dalla forma organizzativa del «non partito» sia sulle scelte quotidiane di un movimento entrato in Parlamento e conseguentemente costretto a confrontarsi con la questione delle alleanze e in definitiva sull`utilità concreta della loro presenza nelle Istituzioni per risolvere i problemi di coloro che li hanno votati. In definitiva, i dati elettorali non spiegano tutto, ma possono aiutare correggere gli errori. L`importante però è ricordarsi di non «confondere le mele con le pere», perché altrimenti si rischia soltanto di fare confusione.