Ci sono ancora troppe zone d’ombra sui rapporti internazionali che avevano le Brigate rosse
Miguel Gotor è un senatore del Pd, ma è soprattutto uno storico che ha dedicato fondamentali ricerche al caso Moro. Nonostante siano trascorsi trentacinque anni dai fatti, diverse inchieste parlamentari, infinite indagini, una pubblicistica sterminata, e ci sia anche una verità processuale, Gotor chiede una commissione parlamentare d`inchiesta perché sono ancora troppe le zone d`ombra. E non è un caso che in quell`ombra si gettino depistatori, come il Giovanni Ladu appena smascherato dalla procura di Roma. «Io capisco la scorciatoia del presunto protagonista che ritrova la memoria, ma rivendico la lungimiranza di aver legato la nostra richiesta di una commissione parlamentare non a rivelazioni dell`ultim`ora, quanto al contesto internazionale che oggi possiamo finalmente inquadrare meglio. Mi riferisco ai nuovi documenti che si possono recuperare in Germania dagli archivi della ex Stasi, nella ex Cecoslovacchia, e poi le acquisizioni sul cosiddetto Lodo Moro che rinvia ai palestinesi. Aggiungo la scuola di lingue Hyperion, a Parigi, e quindi i rapporti tra le Br e le diverse formazioni armate europee».
Gotor, lei, parlamentare di sinistra, intende dire che non considera una bestemmia approfondire i rapporti internazionali del terrorismo rosso, le interdipendenze, forse i condizionamenti che venivano dall`Est?
«Assolutamente no. Parto dalle ultime acquisizioni della commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino, il cui merito va riconosciuto. Secondo me, sono i nuovi documenti, le lettere di Moro, le parti mancanti del suo memoriale (su cui Gotor ha scritto un saggio fondamentale, «Il memoriale della Repubblica», ndr) che ci invitano a esplorare la dimensione internazionale. Il mio ragionamento è che la Guerra Fredda aveva congelato il confronto EstOvest, non così nel Mediterraneo ribollente».
E quindi lei ritiene che sia il caso di rimettere in pista dei parlamentari-inquirenti?
«Se c`è la sensibilità istituzionale ad approfondire, di sicuro non sono soldi buttati». Anche se poi rischiate di finire nelle sabbie mobili di qualche altro depistatore?
«Guardi, questa vicenda di Giovanni Ladu, che già nel 2008 aveva tentato di farsi  dare ascolto, e che è tornato alla carica con Ferdinando Imposimato inventandosi l’alias di Oscar Puddu per supportare la sue presunte ‘rivelazioni’, secondo me apre degli interrogativi interessanti. Perchè Ladu ha fatto tutto ciò? Per smania di protagonismo oppure per un tentativo di depistaggio?’
A caldo che direbbe?
‘Io noto che il caso Moro è contraddistinto dai depistaggi fin dal primo momento. Cito a caso: la vicenfa Frezza-Viglione (millantatori che miravano a ricompense, ndr) pochi giorni dopo via Fani; tentativi di ingerenza sulla Dc da parte del Kgb; un’infinità di casi; da ultimo la vicenda di Antonio Arconte, un sedicente gladiatore…’
Come quell`altro bel tipo di Ladu.
«Raccontano vicende che se fossero vere, sarebbero gravissime. Se lo fossero,
sottolineo. Di nuovo mi domando se questi personaggi si muovono solo per narcisismo. Il depistaggio, infatti, è una cortina fumogena. E così come i tifosi delle
curve, quando vogliono interrompere una partita, gettano i fumogeni in campo,
lo stesso accade con il depistaggio che è un fumogeno lanciato nel campo
della ricerca della verità».
Di sicuro, però, certe presunte ‘rivelazioni’ servono ad alimentare la dietrologia. E la dietrologia piace moltissimo agli italiani.
«Guardi, la dietrologia è una forma di ossessione che alla fine alimenta un mercato
fiorente. So di un giornalista che ha comprato il ‘vero’ memoriale di Moro, poi rivelatosi un falso. D’altra parte gli storici sono alle prese da sempre  con i falsi. Non ci devono far paura: vanno scoperti, messi a fuoco, e poi utilizzati’.