A metà della scorsa settimana, attraverso una serie di complicati passaggi, mi viene chiesto di telefonare a una signora di Alghero, che diceva di avere urgenza di parlare con me. Dal treno che mi porta a Milano chiamo quel numero e mi risponde una persona che si presenta come Vanna Pinna e che mi racconta la vicenda giudiziaria e carceraria del figlio. La signora appare molto scossa emotivamente perché allarmata per la sorte del figlio che attraversa un periodo particolarmente pesante. Il suo nome è Saverio Russo ed è detenuto nel carcere di Bancali per un cumulo di pena, dovuto a più reati di non troppo grave entità.
 La detenzione, si sa, è sempre una brutta bestia e Saverio la soffre in misura particolare: tanto più che lo scorso 23 luglio gli era stato revocato il cosiddetto ‘articolo 21’. Ovvero il beneficio concesso ai detenuti che tengono buona condotta e che permette loro di uscire dall`istituto per un numero variabile di ore, al fine di svolgere un`attività lavorativa. Russo lavorava in un negozio di informatica e questo, evidentemente, gli garantiva una qualche stabilità di vita e una qualche prospettiva di futuro. Poi, quel beneficio gli è stato revocato e, certo, non sono in grado di valutare se sia stata una scelta opportuna o ingiusta. D`altra parte, nessuno può dire se e quanto quel provvedimento di revoca abbia davvero influito su una decisione che, in ogni caso, avrà avuto un complesso di motivazioni, alcune decifrabili e altre inconoscibili. Come tutto ciò che attiene alla sfera più profonda dell`animo umano.
 Quando la mamma di Saverio Russo mi raccontò lo stato in cui si trovava il figlio, promisi che avrei fatto quanto nelle mie possibilità- e le mie possibilità sono davvero assai esili perché si riconsiderasse quella decisione che sembrava condizionare così tanto lo stato d`animo del giovane.
 Il giorno dopo, ancora in treno, cominciai a scrivere su un blocco notes l`inizio di una lettera, indirizzata al direttore del carcere di Bancali. Ecco le prime righe: «Gentile dottoressa Incollu, mi permetto di disturbarla per sottoporle una vicenda che mi è stata segnalata di recente. Riguarda Francesco Saverio Russo, attualmente recluso nel carcere da lei diretto. Nei giorni scorsi ho parlato al telefono con la madre di Russo, che mi segnalava lo stato di profonda depressione («è disperato») in cui si trova il figlio». E pregavo la direttrice di seguire con particolare attenzione Russo. Lunedì, dal mio studio al Senato, mi accingevo a completare e spedire la mia sollecitazione a Sassari, quando ho ricevuto una telefonata dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà, Cecilia Sechi, che mi informava del suicidio dell`uomo.
Scrivo ora quest`articolo e riporto quelle righe di una lettera non spedita, perché questo suicidio (l`ennesimo che si consuma all`interno delle carceri italiane) ci racconta molte cose. Innanzitutto come la vita dei reclusi sia fragile e vulnerabile, sempre precaria e sempre sul punto di precipitare, dominata dall`incertezza e dall`insensatezza. E dove un evento, insignificante per tutti, diventa fattore di crisi irreversibile per qualcuno. E dove, ancora, sembra che il destino delle persone – e fin la loro vita e la loro morte – sia condizionato drammaticamente dai ritardi e dagli equivoci, da azioni distratte o sciatte e da sguardi superficiali. E ciascuno di questi eventi (il rinvio di un`analisi medica o il ritardo nel comunicare una liberazione anticipata) possono determinare un esito tragico.
Poi, c`è probabilmente altro. Si dice che nel carcere di Bancali il clima nelle ultime settimane sia diventato più pesante e che la gestione dell`ordine interno si sia significativamente ‘indurita’. E si dice che sia carente la comunicazione tra vari settori, tutti delicatissimi, dell`organizzazione interna (come l`area trattamentale); e quella tra l`istituto e le autorità esterne di controllo. Sembra addirittura che il magistrato di sorveglianza abbia appreso della morte di Russo (avvenuta la sera di sabato 6) solo al momento del suo ingresso in carcere lunedì 8.
 Sono tutte questioni da approfondire e non spetta certo a me farlo, ma almeno si rifletta sulla crudele lezione che la morte di Saverio Russo ci consegna. Quello del carcere è un universo che vive di un equilibrio instabile e scivoloso, che richiede la massima sensibilità, al di là delle colpe -sempre che vi siano – sotto il profilo penale o amministrativo. Emerge un problema di enorme responsabilità morale, che riguarda tutti: dal poliziotto penitenziario alla direzione, dagli amministratori del territorio in cui il carcere si trova fino a quegli esponenti politici che non vogliono rimanere indifferenti allo strazio che si consuma dietro quelle mura.

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