Il caso Yara e la mediatizzazione della giustizia, con implicazioni su cui tutti dovrebbero riflettere
Nel noir tragico e senza fine che prende nome dalla vittima adolescente, Yara Gambirasio, i genitori di quest`ultima hanno introdotto un  elemento di intelligenza e di razionalità, invitando l`indagato a riportare il contraddittorio processuale dai media alla sua sede propria. La considerazione sottesa a quest`invito – tanto ovvia quanto inconfutabile: i processi si fanno in tribunale e non sulla stampa – coglie un tratto essenziale del rapporto tra giustizia e informazione (non solo in Italia). Ovvero la spettacolarizzazione del processo, la cui scena si sposta sempre più in spazi ‘pubblici’: e non perché questi siano espressione della sovranità statale, bensì perché indiscriminatamente proiettati su un palcoscenico perennemente in mostra. E` qui la fonte dell`equivoco: pubblicità del processo significa, appunto, possibilità di conoscenza da parte di tutti i cittadini. Dunque, accessibile a chi voglia accedervi, non sottoposto a vincoli di segretezza o a limiti di riservatezza e, soprattutto, decifrabile nelle sue regole e nelle sue procedure. Ciò che, invece, va accadendo (e ormai da decenni) costituisce uno sviluppo in senso antidemocratico per la nostra giustizia, per l`informazione e per i diritti di ciascuno. Non a caso, questa spettacolarizzazione del processo si amplifica in occasione dei giudizi per i crimini più efferati. Proprio rispetto ai reati percepiti (o rappresentati) come di maggior allarme sociale, infatti, sembra più forte l`esigenza collettiva di una ‘sanzione informale’ (quanto a natura e procedura, ma gravissima negli effetti) quale appunto la condanna pubblica e lo stigma sociale.
Il processo per l`omicidio di Yara, in questo senso, ne è un esempio paradigmatico. Daí media abbiamo appreso della paternità naturale dell`indagato (da lui stesso ignorata), con effetti presumibilmente assai gravi per i sentimenti, le relazioni e, in generale, per la stessa esistenza sua e delle due famiglie coinvolte. Abbiamo appreso anche delle abitudini sessuali dell`indagato e di sua moglie; persino delle intemperanze del figlio minorenne, dal momento che sono stati pubblicati ampi stralci dell`interrogatorio di garanzia, pochissimi dei quali di interesse pubblico, come ha ben rilevato il Garante per la privacy Antonello Soro.
Questa combinazione perversa tra ‘populismo penale’ di cui sono i principali promotori e attori, oltre che la più vistosa e deforme manifestazione. Campagne di stampa volte a dare un`identità, purchessia e il prima possibile, al ‘reo’, rendono infatti, per il giudice, ancora più oneroso il suo dovere di indifferenza alle aspettative del pubblico (e quindi al consenso) sul suo ‘verdetto’; nella consapevolezza che, con la pena, ‘si infligge ciecamente destino’ scriveva Walter Benjamin.
 La storia del processo è, del resto, storia del potere e del suo codice politico: per questo la mediatizzazione della giustizia ha implicazioni su cui tutti devono riflettere. La tradizionale sottrazione del processo inquisitorio allo spazio pubblico, fino a due secoli fa, ne consentiva (e ne rappresentava) la soggezione agli arcana imperii. Era rito sottratto a ogni sindacato esterno perché modellato sull`infallibilità (e quindi insindacabilità) del giudizio divino, teso ad accertare una piena veritas, persino con l`indagatio per tormentum (la tortura, appunto definita giuramento di Dio). Alla segretezza della procedura si contrapponeva, del resto, la pubblicità della esecuzione penale (mimo della guerra e della festa, la definisce Nietzsche): ritualità liturgica e fasto teatrale. Oggi la pena, da arte di sensazioni insopportabili è divenuta ‘economia di diritti sospesi’, spogliata della spettacolarità pedagogica ma, a volte, talmente chiusa nella totale soggezione del detenuto all`autorità, da occultare eventuali violazioni e abusi. Di contro, la pubblicità del ‘fair trial’ imprescindibile presupposto di equità e correttezza – richiede il ricorso al contraddittorio e a quei criteri di selezione che consentono, nel processo, di trarre dal materiale probatorio la verità (non storica, ma processuale). In assenza di tutto questo, il processo condotto sui media rischia di degenerare in una rappresentazione, un po` deformante e da buco della serratura, delle ‘vite degli altri’.

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