Riflessioni un po’ materialiste e un po’ volgari su ‘teorie omosessualiste ortodosse’ e co.
Oggi mi sento un po’ materialista volgare e un po’ Aleksandr Bogdanov. All’origine c’è la lettura dell’articolo Curare i gay? Una scemenza col botto di Giuliano Ferrara (il Foglio di ieri). Ecco un brano molto significativo di quello scritto: ‘Curare i gay è una scemenza col botto, un gesto di piccola intolleranza ignorante. Tutti abbiamo bisogno di essere curati e soprattutto di essere lasciati in pace. A tutti sono dovuti rispetto, libertà personale, privacy. La lettura del Simposio platonico o del Fedro, lo studio delle biografie di Anselmo d’Aosta e del cardinale Newman, una scorsa ai romanzi di Isherwood sono attività facoltative e anche le tirate di San Paolo contro i sodomiti sono le benvenute, perché parlano di peccato e non di malattia, sono illuminate dal precetto che ‘il giusto vivrà per la fede’ e non dal positivismo burlesco della cattiva ideologia contemporanea’. Tutto molto interessante (lo dico sul serio) e molto efficace nella polemica contro i lugubri e, più spesso, sgangherati fan della medicalizzazione dell’omosessualità. Ma per superare l’equazione peccato=reato, ci sono voluti secoli e, ancora nei primi anni del Novecento comportamenti ‘peccaminosi’ sotto il profilo degli stili di vita o della libertà di pensiero e di parola venivano equiparati a fattispecie penali. E tracce di tale scellerata equivalenza sopravvivono negli ordinamenti democratici contemporanei e, tra essi, in quello italiano. Di conseguenza, c’è da temere che l’altrettanto perniciosa equipollenza tra comportamento amorale o immorale e patologia o difetto genetico resista ancora a lungo E qui c’è il nodo essenziale e quella che è a mio avviso la debolezza strutturale del ragionamento ferrariano. Ancora una volta il direttore di questo giornale parte da una valutazione di sistema e da un giudizio sull’epoca che ritengo profondamente errati. L’assunto è che in questa fase storica e nell’intero mondo occidentale dominino le ‘teorie omosessualiste ortodosse’ e il ‘dottrinarismo di gender’. Una simile lettura della realtà, assai più diffusa di quanto si creda, produce effetti grossolani nei più sprovveduti, quelli che ‘ormai gli eterosessuali sono una minoranza in via d’estinzione’, e risposte melliflue nei più callidi, quelli che confinano l’intero discorso nell’ambito della dimensione privata, escludendolo da qualsiasi riconoscimento giuridico e da qualsiasi tutela istituzionale. I primi come i secondi, così come i più raffinati omocritici pensano che, in presenza di un autentico ‘dispotismo della lobby gay’, la scelta più opportuna sia quella di ridurre tutto a una brillante nota di colore; o, nel caso di Ferrara, a un episodio della sempiterna battaglia culturale e ideologica. E poco importa se quel ‘dispotismo’- se pure ve ne fossero tangibili manifestazioni – condizionerebbe al più alcuni consumi culturali e alcuni costumi esistenziali delle élite: e corrisponderebbe, nel migliore dei casi, a una certa quota di tolleranza (provvidenzialmente) acquisita a livello sociale e in alcuni ambienti circoscritti. Per il resto nei confronti dell’omofilia continuano a prevalere una certa pruriginosa curiosità, una morbosa forma di attrazione-repulsione, e quel paternalismo un po’ loffio che si esprime in maniera sublime nella dichiarazione: ‘Ma io ho molti amici gay’. Se non fosse così e se davvero le teorie omosessualiste fossero tra le ‘ossessioni ideologiche del tempo’ (ancora Ferrara), che si tradurrebbero in conformismo subalterno e dozzinale senso comune, come spiegarsi il fatto che così tanti omosessuali continuano a subire umiliazioni e violenze all’interno dei nostri cari e rassicuranti sistemi democratici? E non si ha alcuna notizia – ma guarda un po’ – di discriminazioni anti-eterosessuali. Forse vi sembrerà un po’ troppo banale il ricorso, così ruvido, a quella categoria fondamentale che è la controprova, ma – l’ho già detto – oggi mi sento un po’ materialista volgare.

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