Sostenere l’ineleggibilità del Cav sulla base di una legge del ’57 non è la strada maestra
Il decorso dei processi a carico di Silvio Berlusconi potrebbe portare all`uscita forzata del leader del Pdl dalle istituzioni. Nessuno può predire con certezza i verdetti delle corti, ma, al momento, questa è una prospettiva non del tutto improbabile. L`interdizione dai pubblici uffici non impedirebbe però a Berlusconi di continuare a guidare il centrodestra. 
E di esercitare così un`influenza rilevante sulla politica italiana. I processi, del resto, difficilmente risolvono i problemi politici. La scoperta per via giudiziaria di Tangentopoli non ha regalato la palingenesi dell`Italia, né in versione liberale né in versione laburista, ma, data la debolezza culturale del centrosinistra, ha creato lo spazio per il fenomeno berlusconiano.
 Anche oggi le forze politiche che contrastano il centrodestra non dovrebbero illudersi di ricavare da una dichiarazione di ineleggibilità di Berlusconi lo slancio e le idee per riformare in profondità l`economia e la stessa convivenza sociale. Quelle idee, che sono la vera leva del cambiamento, vanno costruite con fatica, ben sapendo che non esistono né vangeli né scorciatoie. D`altra parte, l`articolo 10 della legge 361 del 1957, al quale si appella il ‘partito dell`ineleggibilità’, non si presta a letture univoche. Micromega, esercitando la libertà di opinione, può ben sostenere che la norma riguardi anche gli azionisti di controllo, e non solo i proprietari, di società titolari di una concessione o di una licenza d`uso pubblica, e riguardi dunque Berlusconi che, tramite Fininvest, ha una partecipazione di maggioranza relativa in Mediaset. Ma la letteratura giuridica su quell`articolo 10 non è univoca. La titolarità «in proprio», usata dal legislatore del 1957, non sottintende necessariamente la detenzione di una partecipazione di controllo, i cui confini sono stati più volte ridefiniti nell`ultimo mezzo secolo. Nessuno contesta il paradosso di un Berlusconi azionista eleggibile e di un Confalonieri presidente ineleggibile. Su questa osservazione non c`è il copyright di chi si ritiene il Migliore. Ma come si supera il paradosso sul piano giuridico? E ancor più come si risolve il problema politico nel momento in cui convergono sia le tensioni innescate dai processi sia le battaglie politiche e culturali sulle riforme istituzionali? Sbaglierò, ma prima dell`eventuale fatto compiuto giudiziario, l`igiene democratica del Paese trarrebbe giovamento dalla scrittura di una nuova norma chiara erga omnes sui conflitti d`interesse di tipo economico, rilevabili in capo ai parlamentari, più che da un`interpretazione sostanzialista e unilaterale della vecchia norma equivoca, sostenuta da un colpo di maggioranza nella Giunta delle elezioni a carico di un leader politico il cui nome, nel bene o nel male, fa ormai parte della storia di questo Paese. A questo scopo ho depositato ieri in Senato un disegno di legge che abroga la vecchia norma del 1957 e trasferisce l`intera materia delle ineleggibilità d`affari nel regime delle incompatibilità. Un ddl che reca anche le firme di numerosi colleghi, a partire da Luigi Zanda e Valeria Fedeli.
L`esigenza di aggiornare la norma nasce dal fatto che l`Italia del 1957 era assai diversa da quella attuale. La figura dell`azionista dell`impresa privata titolare di pubbliche concessioni non esisteva. Vado a memoria, ma allora le autostrade e i telefoni erano dell`Iri, la Rai aveva il monopolio della tv, le banche erano all`80% pubbliche, poste e ferrovie erano intestate a direzioni ministeriali. È solo con le privatizzazioni e le liberalizzazioni degli anni Novanta che le imprese private assumono concessioni e licenze d`uso importanti e dunque possono mettere i propri azionisti di controllo in conflitto d`interessi ove fossero eletti in Parlamento. È solo negli ultimi vent`anni che la nozione di controllo viene a comprendere anche la partecipazione ai patti di sindacato e l`area dei potenziali conflitti d`interesse si estende dalle imprese concessionarie e dalle licenziatarie dello Stato alle imprese che operano in settori sottoposti a regolazione specifica. Il mondo non è cominciato e non finisce con Berlusconi. Consapevole della storia che passa, la legge dovrà pur guardare al futuro. In teoria, si potrebbe aggiungere tra gli ineleggibili anche l`azionista. Ma sarebbe una scelta di dubbia consistenza sul piano costituzionale. Vanno infatti contemperati i diritti fondamentali: il diritto di elettorato passivo, il diritto di proprietà, il diritto dei cittadini a concorrere alle elezioni su un piede di parità. Meglio dunque aggiornare le incompatibilità. Starà all`eletto scegliere se restare parlamentare rimuovendo la causa o se rinunciare al seggio conservando la causa dell`incompatibilità.
La rimozione del conflitto può avvenire soltanto vendendo la partecipazione di controllo in un tempo certo, oltre il quale il parlamentare inadempiente decade. Poiché si tratta di un pacchetto azionario rilevante, la vendita non può avvenire in un amen. È ragionevole concedere un anno dal momento in cui, ricevuta l`istruttoria dell`Antitrust, la Giunta delle elezioni dichiara la situazione di incompatibilità. Se tanto dovesse valere per i parlamentari, non di meno andrebbe previsto per i membri del governo non parlamentari. D`altra parte, se mai l`Italia dovesse avviarsi verso un regime semipresidenziale o verso un premierato forte, prospettive verso le quali non solleverei obiezioni pregiudiziali, una riforma ragionevole e seria delle norme sui conflitti d`interesse sarebbe ancor più necessaria. Di più: senza una riforma del genere, diventerebbe pericoloso anche solo immaginare concentrazioni di potere in capo ai futuri inquilini del Quirinale o di Palazzo Chigi.

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