Matteo Renzi parlerà martedì 29 aprile ai senatori del Pd impegnati nella riforma della Costituzione in due dei suoi punti cruciali: le istituzioni parlamentari e il rapporto tra Stato e Regioni.
Segretario del partito e capo del governo (una concentrazione di potere che, sia detto sorridendo, ricorda momenti della storia sovietica), Renzi deve risolvere un problema, principalmente: come costruire l`unità del gruppo parlamentare; se provarci con l`imposizione della disciplina di partito, senza curarsi dell`articolo 67 della Costituzione che libera dal vincolo di mandato gli eletti in Parlamento, o se farlo con una mediazione vera, e cioè con una sintesi alta dei diversi contributi e delle diverse sensibilità. I giornali possono, per comodità, polarizzare queste sensibilità nel ddl del governo e in quello di Vannino Chiti e di altri senatori, tra i quali chi scrive, ma in realtà nel Pd e nel centro-sinistra le sensibilità sono ben più complesse e articolate. E per fortuna.
Finora, va detto subito, si sono ascoltati soltanto appelli alla disciplina, accompagnati da esibizioni muscolari (i firmatari del ddl Chiti non contano nulla, il patto del Nazareno trionferà) e da tristi tentativi di diffamazione (vogliono difendere il cadreghino e l`indennità). Questi tentativi di diffamazione meriterebbero solo il confronto delle biografie tra accusatori e accusati, ma per togliere qualsiasi dubbio si sappia che, all`esito della riforma elettorale, sarà bene andare subito al voto: Camera e Senato attuali sarebbero entrambi delegittimati dai nuovi assetti. Personalmente, ho sostenuto questo punto nell`assemblea del gruppo Pd al Senato. Attendo impegni precisi in proposito. Magari già martedì. E tuttavia la verità più generale è che, in Commissione Affari Costituzionali, le riserve sul ddl del governo sono state numerose e diffuse in tutti i gruppi. Forza Italia sta dibattendo al suo interno com`era prevedibile che accadesse. Scelta civica pure. Non parliamo del Ncd e della Lega. Il Movimento 5 Stelle, che il ddl del governo espellerebbe dal nuovo Senato, ha già detto come la pensa e così chi quel movimento ha lasciato, e pure Sel. È giusto evitare gli errori del passato quando si fecero riforme costituzionali a colpi di maggioranza, ma siamo sicuri che l`accordo a due, tra Renzi e Berlusconi, sia meglio sempre e comunque di un`intesa più vasta e partecipata e che dunque, per poter essere raggiunta, presuppone il superamento dell`egolatria dei paletti.
 Non avrebbe senso, almeno adesso, proiettare meccanicamente il dibattito in corso nelle sedi proprie (ora la Commissione, più avanti l`Aula) in quello che potrebbe essere l`esito di votazioni sul ddl governativo nel caso questo restasse immutato, conficcato come una «canadese» per due nei quattro mitici paletti. Ma ancor meno senso ha oggi ridurre le posizioni altrui (non le nostre, per carità: noi del Pd siamo sempre vergini…, e ce lo diciamo da soli) a mere posizioni elettoralistiche per poi chiedere a chi dentro il Pd ha un`idea diversa di piegare la testa senza una discussione reale, di merito. Per di più di fronte al patto orale del Nazareno che comincia a essere raccontato in modo diverso dai due contraenti.
Di fronte a certe uscite, a Groucho Marx verrebbero pensieri sui quali direbbe di non essere d`accordo. Gli verrebbe in mente il Sant`Uffizio che pretendeva l`abiura da Galilei non perché il cardinal Bellarmino avesse dimostrata con metodo sperimentale l`inconsistenza scientifica delle teorie dello scienziato, ma semplicemente perché il santo custode dell`ortodossia giudicava quelle teorie diverse dal Verbo.
Ecco, la riforma della Costituzione non può ammettere un Verbo perché interpella la coscienza di ogni singolo parlamentare. Mi preoccuperei se oggi il Pd scoprisse di avere bisogno di un Verbo. Tanto più se il partito va sempre più acquisendo un profilo carismatico, incentrato su una leadership costruita a mezzo delle primarie aperte a tutti. Come ognuno può constatare, queste primarie costituiscono una modalità di decisione plebiscitaria alla quale partecipano, senza il controllo di terzi soggetti di rilievo istituzionale, due o tre milioni di persone, più o meno il 5% del corpo elettorale. Possono andare bene in quello speciale club che è un partito politico. Ma se poi il vincitore delle primarie prende tutto, allora abbiamo un problema. Far cadere dall`alto la linea su un partito dalla dialettica impoverita dai vantaggi della fedeltà al capo (o dell`opposizione di Sua Maestà) e, tramite questo partito, normalizzare i gruppi parlamentari riducendoli a sostenitori acritici del governo del segretario, questo schema top down minaccia di ridurre il tasso di democrazia. E di ridurlo in tanto in quanto diventa maggioritaria la legge elettorale, con candidati decisi in generale dal capo, e le istituzioni rappresentative passano dall`attuale bicameralismo perfetto – paralizzante e dunque non più sostenibile – al monocameralismo di fatto – efficiente nel sostenere l`azione di governo, ma incapace di correggerne gli errori fino a quando un disastro non faccia saltare il banco.
Per questo mi auguro che martedì si arrivi a una sintesi che, nel nuovo contesto maggioritario, superi il bicameralismo perfetto, ma ugualmente doti il sistema di una seconda camera, non di una camera secondaria, per dirla con Michele Ainis. E una seconda camera è tale se può esercitare una funzione di garanzia, grazie a una saggia specializzazione e all`autorevolezza che deriva dal voto popolare diretto, magari non per tutti i suoi membri, ma certo per la grande maggioranza.
P.S. Ho notato che il sottosegretario Scalfarotto, nella sua intervista dell`altro ieri a l`Unità non ha potuto negare che il ddl Chiti farebbe risparmiare allo Stato molto di più di quello del governo. È già qualcosa.

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