Mancanza di un limite ai mandati per il premier eletto; fissazione in Costituzione di un premio del 55% senza specificare né una soglia né la modalità di elezione; infine, dulcis in fundo, violazione della centralità del Parlamento, elemento fondante di quella «forma repubblicana» che l`articolo 139 della Costituzione dichiara che «non può essere oggetto di revisione costituzionale». Sono i tre elementi di «dubbissima costituzionalità» che a nome del Pd Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato dove il Ddl Casellati che introduce l`elezione diretta del premier è stato appena incardinato, è in procinto di porre in apertura della discussione. «La mancanza del limite ai mandati del premier è chiaramente contrastante con la sentenza della Consulta 6o del 2023 che individua nei limiti alla rieleggibilità a una carica esecutiva monocratica un necessario “temperamento di sistema” alla concentrazione di potere in capo a una persona che si realizza tramite la sua elezione diretta», dice Panini riguardo al primo punto. Quanto alla discussa norma del premio del 55%, «la mancata indicazione in Costituzione di una soglia minima di consenso per essere eletti presidente del Consiglio e ottenere il 55% dei parlamentari rende possibili scarti enormi tra voti raccolti e seggi attribuiti a una lista o una coalizione di liste. Queste macrodistorsioni della volontà popolare violano da una parte il principio supremo per cui il Parlamento deve essere rappresentativo della sovranità popolare (articolo i) – e sono quindi passibili di declaratoria di illegittimità ai sensi della sentenza della Consulta 1146 del 1988, che stabilisce che sarebbe da ritenersi illegittima e da abrogare una riforma costituzionale che violasse uno o più principi fondamentali dell`ordinamento – dall`altra la sentenza i del 2014 con cui si spazzò via, proprio per la dimensione potenzialmente irragionevole del premio di maggioranza, il Porcellum pensato da Roberto Calderoli nel 2005». Per altro su questi due punti- ricorda non senza una certa malizia Panini – il Ddl a prima firma Giorgia Meloni sul presidenzialismo (716 dell`u giugno 2018) prevedeva sia il limite dei mandati sia una soglia. E che soglia: il 50%, altro che una soglia tra i130 e il 40% di cui alcuni esponenti di Fdi hanno parlato nei giorni scorsi. «Nel momento in cui insediava al vertice del governo una persona eletta direttamente dal popolo prevedeva all`articolo 3 sia il tetto ai mandati (possibile una sola rielezione) sia la regola della
maggioranza assoluta per essere eletti stabilendo che se nessun candidato prende la metà più uno dei voti al primo turno si fa un secondo turno tra i primi due del primo. Nel Ddl Meloni c`erano cioè tutte e due le cose previste da tutte le Costituzioni democratiche del mondo come contrappeso necessario all`elezione diretta di una persona a una carica nazionale di vertice». Infine l” obiezione bomba”, ossia che l`impianto stesso della riforma viola quella forma repubblicana dello Stato che i nostri costituenti hanno previsto che non sia modificabile. «La centralità del Parlamento, come ha recentemente sottolineato il presidente emerito della Consulta Enzo Cheli, ripreso poi dall`ultima presidente Silvana Sciarra, è un principio supremo della nostra Costituzione: rappresenta una componente irrinunciabile sia della “forma” della Repubblica richiamata dall`articolo 139, sia delle “forme” di esercizio della sovranità popolare citate dall`articolo i- è l`argomentazione di Panini-. L`elezione diretta del premier, tanto più se come prevede il Ddl Casellati diventa il fattore determinante della contestuale elezione di deputati e senatori, dà luogo a una forma di governo basata sulla dipendenza formale del legislativo dall`esecutivo, una cosa senza eguali al mondo». Il meno che si può dire è che la discussione nella prima commissione di Palazzo Madama, dove per altro tra i presidenti emeriti che saranno auditi ci sarà anche Cheli, sarà scoppiettante.


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