Dario Parrini, ex presidente della commissione Affari costituzionali, senatore dem, con quale atteggiamento secondo lei il Pd deve andare al tavolo sulle riforme istituzionali voluto dalla premier Giorgia Meloni?
“Bisogna che la maggioranza scopra le carte. E se gli incontri servono a questo, sono benvenuti. Finora ai rappresentanti del governo noi dem abbiamo prospettato le nostre convinzioni. Il governo dica cosa vuole fare e con quali obiettivi. L’essenziale è che non metta la discussione sul piano dei feticci ideologici, ma su quello della concretezza”.

Cosa vuol dire?
“Che se l’obiettivo è quello di rafforzare l’efficienza e la stabilità delle istituzioni italiane, siamo aperti a valutare le proposte che vanno in questo senso, senza pregiudizi. Se invece l’obiettivo è quello di portare a casa l’elezione diretta di un capo quale che sia, allora si parte con il piede sbagliato”.

Il Pd non vuole toccare niente?
“Noi non siamo per lo status quo: siamo innovatori. Proponiamo di riformare la forma di governo con una modello alla tedesca, ovvero con la sfiducia costruttiva e l’elezione parlamentare del primo ministro, dotato di poteri accresciuti rispetto a quelli che ha oggi. La forma parlamentare va migliorata, ma senza fuoriuscirne. Sul bicameralismo siamo per riformare l’attuale monocameralismo alternato di fatto. Per questo vanno aumentate le competenze del Parlamento in seduta comune, dalla legge di bilancio alla conversione dei decreti. Vanno riformati i regolamenti parlamentari in modo da ridurre il ricorso ai decreti legge e va prevista una differenziazione delle due Camere in modo che una sia anche organo di rappresentanza dei territori quando si trattano materie di loro competenza. Soprattutto va riformata la legge elettorale. Con l’attuale, basata su liste bloccate, la sovranità dell’elettore e il collegamento eletto-elettore non esistono più”.

Ma una Camera per gli enti locali è il modello renziano?
“No, nel modello di Renzi non si prevedeva un Senato eletto a suffragio universale”.

Una apertura del Pd sull’elezione diretta del presidente della Repubblica, è possibile?
“L’elezione diretta del presidente della Repubblica sarebbe una scelta distruttiva degli equilibri tra poteri sanciti dalla Costituzione. Il Quirinale funge da garante, da prezioso motore di riserva nelle emergenze e nei conflitti: per l’Italia è essenziale. Con il presidenzialismo il capo dello Stato diventerebbe un capo fazione e l’ordinamento italiano si troverebbe privo di una figura super partes in grado di rappresentare l’unità della nazione”.

E l’elezione diretta del premier?
“È una variante del presidenzialismo che provoca molti scompensi. Questo spiega perché nessuna democrazia del mondo la usa, e perché l’unica che l’ha sperimentato, Israele, l’abbia abbandonata in fretta. Il sindaco d’Italia, come viene chiamato questo modello, mortifica la presidenza della Repubblica svuotando di fatto i suoi poteri più rilevanti. Svilisce il Parlamento privandolo della sua funzione di dare la fiducia al governo, e lo mette sotto ricatto del premier eletto direttramente, lasciandogli solo il potere di suicidarsi, cioè di esprimere un voto di sfiducia autodistruttivo”.

Una quadra è impossibile quindi sulle riforme istituzionali?
“Ripeto: senza la rincorsa a feticci ideologici, e se si vogliono davvero rendere le istituzioni meglio funzionanti e più stabili, il risultato si può ottenere. I Paesi con la maggiore stabilità dei governi in Europa sono del resto Germania e Spagna, che hanno forme di governo parlamentari razionalizzate, lontanissime da qualsiasi forma di presidenzialismo”.

Sì alla Bicamerale?
“Sul metodo, se c’è buonafede, la maggioranza proponga”.

Ma nel Pd ci sono visioni diverse.
“Contro il presidenzialismo e anche contro il sindaco d’Italia siamo tutti d’accordo”.

C’è una intesa con i 5Stelle?
“Ciascuno faccia le sue proposte e valuteremo il punto di intesa. L’importante è che il Pd abbia la sua chiara identità riformatrice”.

Si può discutere di riforme istituzionali a patto che si sgombri il tavolo dallo stop ai ballottaggi nelle amministrative?
“Se si vuole un dialogo sulle riforme istituzionali, bisogna rinunciare a forzature e unilateralismi su norme che sono ordinarie ma che hanno effetti dirompenti quanto quelli di una riforma costituzionale. Il riferimento alla proposta ammazza-ballottaggi e all’autonomia differenziata è puramente voluto”.


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