Ogni anno l’8 marzo ha un sapore particolare.
Quest’anno, forse per la prima volta dopo tanto tempo, ha un sapore davvero amaro. Diritti e libertà che ci eravamo abituati a dare per acquisiti una volta e per sempre, oggi risultano non essere più così scontati.
Non che spinte in questo senso siano state del tutto assenti finora. Basti pensare alle manifestazioni che hanno contrastato un’idea pluralista di famiglia, a quelle che vanno in scena ogni giorno contro l’aborto e per la modifica della legge 194, o ancora alle iniziative incomprensibili e pericolose delle amministrazioni di alcuni Comuni italiani, per esempio Verona, che dimostrano come nel nostro Paese sia ancora presente e diffusa l’idea che vorrebbe le donne in una posizione sociale ben precisa, cioè subalterna rispetto agli uomini all’interno della famiglia, sul posto di lavoro e nella società. O ancora alla sentenza che ha quasi dimezzato la pena a un colpevole di femminicidio perché agì in preda “ad una tempesta emotiva” o al linguaggio sessista e ingiurioso fino allo stalking, usato spesso sui social.
Quando, però, queste spinte trovano sponda e vengono rilanciate dalla principale forza di governo, allora siamo di fronte ad un cambio di passo pericoloso e preoccupante.
Le prime ad accorgersene, non a caso, sono state proprio le donne, scese in piazza in questi mesi per suonare il campanello d’allarme.
Norberto Bobbio diceva che “il cammino verso l’uguaglianza delle donne è stata l’unica vera rivoluzione compiuta del nostro tempo”. Oggi non basta più valorizzarne la memoria, serve rinnovare la partecipazione e la forza che fondò quelle conquiste.
Ecco perché quest’anno celebrare l’8 marzo significa prendere ferma posizione, per esempio, contro il ddl Pillon. Una legge inaccettabile, ispirata soltanto da una volontà punitiva contro le donne e le loro libertà, che nasconde dietro il concetto di parità genitoriale un attacco durissimo al principio di autodeterminazione delle donne e ai loro spazi di autonomia, arrivando addirittura a sacrificare l’interesse dei figli in nome di una incomprensibile e inaccettabile furia vendicativa di lobby di padri separati nei confronti delle donne.
Celebrare l’8 marzo significa rifiutare ogni tentativo di smantellare la legge Merlin, e opporsi al rilancio dell’idea per cui il corpo della donna può essere oggetto di commercializzazione e ricavo da parte dello Stato.
Celebrare oggi l’8 marzo, di fronte a tutto questo, assume poi un significato diverso, carico di responsabilità. Un passo indietro su questo fronte sarebbe benzina sul fuoco in un Paese dove gli episodi di violenza contro le donne aumentano ogni giorno per aggressività e brutalità.
È un tema che, da Nord a Sud, sconvolge ogni volta che sale alle cronache: solo nelle ultime 48 ore due femminicidi e una violenza atroce come quella di San Giorgio a Cremano che ha il sapore della sfida, perché consumata perfino in luogo pubblico e affollato, da ragazzi giovanissimi ai danni di una loro coetanea.
È una degenerazione culturale che va fermata. E non può bastare invocare solo misure punitive sempre più dure e severe. E’ necessario investire ancora di più sulla prevenzione, sull’educazione, sopratutto tra i ragazzi, ad una giusta relazione tra uomo e donna. Solo così sradicheremo modelli culturali sbagliati che rischiano di essere, oggi, più forti di ieri.
Su questi temi, purtroppo, l’attuale governo è assente: non ha investito un solo euro, né si sta spendendo come sarebbe necessario per portare avanti quanto di buono è stato fatto, ad esempio, con le linee guida nazionali “Educare al rispetto” e con i piani antiviolenza degli anni passati.
Ecco perché L’8 marzo di quest’anno ha un valore diverso e ci chiama ad un compito preciso: quello di alzare un muro di fronte ad un attacco senza precedenti alle donne, ai nostri diritti e alle nostre libertà, per costruire con tutta la forza e passione di cui siamo capaci un argine forte e possente a tutela dei traguardi raggiunti, fermando così una deriva pericolosa e aggressiva che sta provando a travolgerci.


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