«Bisogna tener viva la memoria di un gran bene riconquistato, senza retorica»
Con l`approssimarsi del 25 aprile, seppure sempre più debolmente, è risalito dalla coscienza del Paese il vecchio desiderio che fosse definitivamente conclusa la pacificazione profonda degli italiani divisi tra Salò e la scelta partigiana.
Occorreva, del resto, non restare prigionieri di una contrapposizione i cui lasciti emotivi, psicologici, culturali e ideologici avevano già fatto largo a una ritrovata misura della realtà, tralasciando la reclamata ‘ragione del sangue’ ugualmente versato al di qua e al di là di un confine che divideva il senso da dover dare alla storia; e sarebbe stato dunque inaccettabile riservare la pietà a queste o a quelle vittime di una comune tragedia rimettendo tutto a una drammatica, confusa smemoratezza. Avremmo vissuto fin qui una ben povera storia, addirittura un capitolo disperato, se non avessimo capito che la vita di un popolo sta nella crescente consapevolezza di ciò che lo unisce nel nome di ognuno e quindi di tutti. Conservarne l`ammonimento esigeva che ci si liberasse dalle barriere ideologiche, ma anche da equiparazioni retoriche e strumentali. Nessuno, d`altronde, può ragionevolmente rifugiarsi nel sommario e liquidatorio invito hegeliano a credere che «tutti, per la storia, hanno ragione contemporaneamente». È un paradosso filosofico, estraneo alla stessa natura della storia: è anzi la non-storia, pur sembrandone il massimo dell`autenticazione. Esemplare, a tale riguardo, è l`incontro, a Boves, dei cittadini di quel luogo martire – medaglia d`oro della Resistenza e sede di una memorabile ‘Scuola di pace’ – con una rappresentanza del popolo tedesco venuta a dichiarare, attraverso il suo ‘pellegrinaggio del perdono’, la volontà di un emendamento reale, emozionante e severo; non si poteva restare estranei, secondo una lettura anche cristiana delle sventure umane, al proposito di comprendere il perché di «una scelta compiuta dalla parte sbagliata», come dirà in televisione Carlo Mazzantini, ex ragazzo della Repubblica Sociale, riprendendo un libro divenuto famoso, C`eravamo tanto odiati, scritto a quattro mani con il comandante partigiano Rosario Bentivegna, membro del Gap che compì l`azione di via Rasella. Ecco perché il tener viva la memoria di un grande bene riconquistato avrà il suo pregio più alto vivendola, non perseguendo categorie e cataloghi di genere archivistico, o di tono meramente celebrativo, bensì nel mettersi tutti al servizio di una realtà in cuí riconoscere i passi ardui e indissolubili della ragione e della coscienza.
Penso aì soldati ‘senza stellette’, i partigiani dell`Armata delle valli’, che nel Ravennate combatterono lo scontro finale della Linea Gotica. Quell`anno l`estate trascorreva sulle colline; anche la mia città di adozione, Rimini, si era svuotata, e così la spiaggia; solo ogni tanto qualche soldato tedesco faceva il bagno in un mare già imbronciato dai primi temporali. Il vento si fermò di colpo, una sera, come alle soglie di qualcosa che dovesse accadere. E fu quando la soldataglia infilò neí cappi la vita di tre ragazzi, scalzi e vestiti del poco che bastava al caldo e alla morte. Chi si affacciò nella piazza, e vide il capestro a tre forche, venne ricondotto dai mitra sui propri passi, ma tutto sarà al suo culmine quando tre donne non potranno neppure abbracciare í piedi gonfi dei figli.
Il pianto, costretto sulle colline, non poté scendere su quel finale di ogni cosa. Rimini respirava nel cuore degli assenti, e tutto veniva consumandosi nella silenziosa gratuità del male. La piazza, privata del suo fiato, potrà assistere dopo due giorni al dondolio dei tre Gap scoperti nel loro rifugio; e prenderà il nome dai tre ragazzi tolti alla vita con il sole in faccia e gli occhi che bruciavano. Neppure l`evviva temerario alla propria scelta attraverserà il gran vuoto da Covignano al porto. Dietro i monti cominciava a rosseggiare un tramonto che pareva cadesse lentamente perché la città se ne riempisse.

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