La sua lezione è patrimonio comunedi tutti gli italiani». Pier Ferdinando Casini ricorda così, in una intervista a Il Messaggero, Alcide De Gasperi, nel settantesimo anniversario della morte. «L`Europa della difesa comune» e «il dialogo come modello».

Il 19 agosto è il settantesimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi. Chissà lo statista Dc che cosa avrebbe pensato della questione dei «nuovi italiani». Lei che cose ne pensa, presidente Casini?
«Credo che sia necessario legarli alla condivisione di un comune destino del nostro Paese. In una drammatica crisi demografica, com`è quella che stiamo attraversando, pensare di alzare barriere e di costruire muri è come voler svuotare il mare con un secchiello. Io ricordo che venti anni fa, da presidente della Camera, eletto dal centrodestra, mi dichiarai a più riprese favorevole allo ius soli. Non ci fu alcuna protesta. Nessuno s`indignò. Le polemiche di questi giorni sono il segno di un preoccupante arretramento. Invece di andare avanti, si va indietro».
De Gasperi era uno che guardava avanti?
«Ma certo. Oggi infatti nessuno è più presente di lui. Penso di poter dire che la sua lezione è patrimonio comune di tutti gli italiani. È stato un uomo di parte, ha guidato la ricostruzione italiana bloccando i tentativi della sinistra comunista e gli improbabili ritorni al passato della destra post-fascista. Ha imposto idee che allora erano divisive (la Nato, l`Europa) e con il passare del tempo quelle sue idee sono diventate patrimonio condiviso. Non se ne può appropriare in esclusiva la destra o al sinistra. Perché sono, in senso largo, il tesoretto italiano».
Quali idee per esempio?
«Voglio pensare che il comune sostegno all`Ucraina di gran parte della maggioranza di governo e della gran parte dell`opposizione sia una sua eredità. Mai dimenticare che l`Occidente è un insieme di valori che si basa sul rispetto degli altri e sulla ricerca della pace: ma non c`è pace vera se viene costruita sulla menzogna e sulla sopraffazione».
Ma alcune delle speranze di De Gasperi non si sono perse?
«Di sicuro, oggi, viviamo una fase per molti versi involutiva. Il multilateralismo, che era centrale nella visione degasperiana, è in crisi. Ma guai a pensare che esso sia sostituibile con nuove formule. La sfida è renderlo efficiente e capace di rispondere in tempo reale alle emergenze. In questo senso non possiamo non ricordare l`Europa della difesa comune che De Gasperi auspicava ben prima della sua morte. Ricordo le lettere angosciate ai leader della Dc affinché insistessero a bloccare quello che poi si realizzò, ossia il il veto francese alla difesa comune europea. Quello che accade oggi nel Mediterraneo e in Ucraina dimostra che la non applicazione delle sue idee ci è molto costata. Del resto, gli statisti e i politici si dividono proprio su questo: i primi comprendono prima e, nel caso di De Gasperi, molto prima; i secondi comprendono sempre dopo, tardivamente».
L`ultimo numero della rivista Vita e Pensiero è incentrato su De Gasperi con tre saggi di Lorenzo Ornaghi, Paolo Pombeni e Luigi Gianniti. Quest`ultimo spiega come l`europeismo di De Gasperi sia fondato sulla mescolanza tra la sua cultura internazionale e il suo universalismo cattolico. È così?
«Sono d`accordo. E sono certo che oggi De Gasperi avrebbe chiesto all`Europa il riconoscimento della comune radice cristiana». Il dialogo come principio e come metodo dell`azione politica è al centro tra l`altro del saggio di Giuseppe Sangiorgi, “De Gasperi, uno studio”. Lei non crede che quella matrice si sia un po` persa? «Questo è un punto di grande rilevanza. Quando si parla della Dc e di De Gasperi, bisogna capire che il vero lascito di quel tipo di esperienze è nella capacità di allargare progressivamente i confini della vita democratica. La Dc vinse le elezioni del `48, e avrebbe potuto governare da sola. Non lo fece. Coinvolse i partiti centristi dell`epoca. E nei decenni successivi, questo approccio aperturista coinvolgente, profondamente degasperiano, sarebbe stato anche quello di Fanfani e di Moro. Il primo allargò il centrismo ai socialisti, staccandoli dai comunisti. Mentre Moro, ai tempi della conventio ad excludendum, cominciò a coinvolgere i comunisti nella guida delle istituzioni con la presidenza della Camera a Pietro Ingrao e poi a Nilde lotti, e non dimentichiamo l`attuazione delle Regioni nel 1970. Sostanzialmente è accaduto che l`esperienza di De Gasperi e le idee sue e della Dc, con questo continuo sforzo di allargamento, sono diventate patrimonio comune. Basti pensare che Berlinguer si disse più al sicuro sotto l`ombrello della Nato piuttosto che nel vincolo di fedeltà al sistema sovietico».
Ha governato però pochi anni, solo otto, De Gasperi. Non la impressiona la discrepanza tra il poco tempo e le tante riforme?
«Quello che impressiona, e non solo me, è stata la funzione di pedagogia democratica che egli ha svolto. E in questo senso De Gasperi è il leader politico e morale dell`Italia moderna. Quanto alla durata della sua premiership, conta relativamente. Conta molto di più che furono anni pesanti e decisivi quelli del dopoguerra e della ricostruzione. E conta la qualità della classe dirigente di quel periodo e di quello successivo. La Dc era quella di Fanfani, Dossetti, La Pira, Andreotti, Moro, Colombo e ne potrei citare molti altri. C`era insomma una vitalità democratica e una cultura e competenza politica che De Gasperi ha promosso. I grandi leader non si vedono soltanto da quello che riescono a realizzare in prima persona ma anche dalla covata di eredi che scelgono».


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