Nelle democrazie liberali contemporanee è diventato più agevole accogliere la pluralità delle culture e la pressoché infinita varietà delle opzioni ideologiche, dei sistemi di valori e delle teorie morali. E ciò perché le società liberali, proprio in quanto tali, hanno ‘neutralizzato’ e secolarizzato, attraverso un processo mai definitivamente compiuto, le ragioni del patto sociale e della convivenza civile che ne sono fondamento. Questo rappresenta senza dubbio un passo avanti perché favorisce quel percorso di laicizzazione sul quale si fondano lo stato di diritto, l`ordinamento democratico e il pluralismo politico.
 Ciò può avere, tuttavia, effetti imprevisti. Come quello di deprimere la discussione pubblica intorno a opzioni morali, capaci di accompagnare le grandi trasformazioni culturali e sociali in atto. E così verrebbero a mancare quei riferimenti etici che, per un verso, possano ispirare e orientare e, per l`altro, possano regolare e valutare le nuove forme di vita e di relazione, le scelte più controverse sul nascere e sul morire, gli inediti dilemmi posti dallo sviluppo delle biotecnologie. La ridotta attenzione dedicata a queste tematiche e, di conseguenza, alla elaborazione di sistemi di valori e di teorie morali, non derivanti dalla tradizione religiosa di maggioranza (in Italia, quella cattolica), finisce col creare una situazione paradossale: le nuove forme di vita e di relazione si diffondono senza disporre di un`adeguata ‘attrezzatura morale’ che dia loro basi solide. Conseguenza ultima di ciò è dare per scontato che la morale derivante dalla tradizione religiosa di maggioranza costituisca la sola morale. Pertanto, il discorso morale e, in particolare, quello relativo alla morale pratica risulta impoverito e irrigidito. E totalmente incapace di cogliere come nell`agire umano siano rintracciabili motivazioni morali di diversa origine, che possono coincidere in determinate circostanze e confliggere in altre. In estrema sintesi, la pluralità delle leggi morali è un dato acquisito e non reversibile e, soprattutto, non riducibile in alcun modo entro i confini di una sorta di etica naturale. Ma tutto ciò viene costantemente rimosso.
Recentemente, ho scritto dell`ispirazione morale dell`azione politica di Marco Pannella. E ho ricordato come tutte le normative che prevedono forme di regolamentazione legale delle contraddizioni sociali possono ispirarsi – oltre che a considerazioni di ordine liberistico o utilitaristico a ragioni morali. Non a caso la teoria della riduzione del danno, che sempre motiva le politiche di legalizzazione, si nutre anche di un fondamento teologico quale la concezione del ‘male minore’. Può esservi, pertanto, una motivazione cristiana, o una comunque pienamente morale, nel volere sia pure solo in casi estremi – la legalizzazione dell`aborto; così come si può rintracciare il cuore della pietà cristiana, o comunque una profonda ragione etica, nell`atto misericordioso della sospensione di cure inutili o dell`interruzione di dolori lancinanti.
Un lettore del Foglio, Mauro Barberio, ha così replicato: ‘Il ‘male minore’ ha come termine di paragone non il dolore fisio-psichico ma la legge morale’; e ‘per la chiesa e per il suo Fondatore, nulla può essere `maggiore` rispetto alla vita umana’. Ottima argomentazione. Ancora più persuasiva, se fosse addotta con un qualche spirito di autentico confronto. Così non fa Barberio che si sente spiritosissimo (beato lui) e sicurissimo di sé (beato lui) e tratta temi tanto controversi con la postura superciliosa di un aio. Spiace sinceramente per lui. E tuttavia la sua argomentazione merita rispetto. Ma si tratta di una questione intensamente contraddittoria, al punto che, in proposito, si possono ricordare due affermazioni papali tanto illuminanti quanto sorprendenti. I124 febbraio 1957, Pio XII nella sua Allocutio ad participantes XI Congressum Societatis Italicae de anaesthesiologia, così rispondeva a quel cruciale dilemma etico: ‘La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici (quando è richiesta da un`indicazione medica), è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all`avvicinarsi della morte e se si prevede che l`uso dei narcotici abbrevierà la vita)?’. ‘Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l`adempimento di altri doveri religiosi e morali: sì’. Poi, nel 1970, Paolo VI ai medici cattolici: ‘Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un`inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo’.
Come si vede il ‘fattore umano’ sembra sfuggire a qualsiasi rigidità, anche a quella che si affidi a un fondamento davvero non negoziabile come la Rivelazione. E proprio perché dalla legge morale, che dev`essere il termine di paragone per definire il male minore, non può escludersi il principio essenziale della dignità, messa a rischio e mortificata dalla prosecuzione artificiale della vita corporea, in condizioni inumane. Ps. Ancora con la svagatezza di un sopracciò, lo stesso Barberio mi imputa di sottovalutare il diritto del bambino ‘oggetto dell`eterologa’ a conoscere le proprie origini. Ma se sul Foglio del 15 aprile ho scritto che ‘la legge, nel disciplinare la fecondazione eterologa, dovrà garantire al meglio i diritti di tutti coloro che ne siano coinvolti, in particolare bilanciando il diritto all`anonimato del donatore con il diritto del nato a conoscere le proprie origini’. Suvvia.

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