Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi mette piede in caserma. Il 22 ottobre 2009 esce morto dall`ospedale Pertini di Roma. Morto. O meglio selvaggiamente ammazzato. Il suo corpo martoriato, ridotto a un grumo di sangue, striminzito fino a 37 chilogrammi di peso, sette chili in meno in una settimana, presenta nell`ordine, messe a referto, lesioni ed ecchimosi alle gambe, frattura della mascella, ecchimosi all`addome, emorragia alla vescica, emorragia al torace, due fratture alla colonna vertebrale.
 Oggi, 31 ottobre 2014 la giustizia esercitata nel suo nome, ha detto però al popolo italiano che Stefano Cucchi è semplicemente morto. Morto come si muore per caso. Sono stati tutti assolti. Non è stato nessuno a picchiarlo, non è stato nessuno a massacrare il suo corpo con ferocia inaudita, non è stato nessuno a lasciarlo morire, a non nutrirlo, a ignorarne l`angoscia e la sofferenza. Ma oggi, 31 ottobre 2014, lo Stato italiano non ci ha detto soltanto che Cucchi è morto, che non l`ha fatto morire, che non l`ha ammazzato nessuno. Lo Stato italiano ci ha detto che sono condannate a morire le speranze di chi da anni lotta per avere giustizia. Le speranze di sapere chi ha lasciato morire, chi ha ammazzato gli altri Stefano Cucchi vittime di un sistema giudiziario malato che consente, e forse copre la morte e l`assassinio.
 ‘È inconfutabile – disse il senatore Manconi a suo tempo – che, una volta giunto nel reparto detenuti dell`ospedale Pertini, Stefano Cucchi non abbia ricevuto assistenza e cure adeguate e tantomeno quella sollecitudine che avrebbe imposto, anche solo sotto il profilo deontologico, di avvertire i familiari e di tenerli al corrente dello stato di salute del giovane: al punto che non è stato nemmeno possibile per i parenti incontrare i sanitari o ricevere informazioni da loro’. E ci chiediamo che cosa pensa oggi di questa sentenza, proprio lui che dal primo minuto di quel 15 ottobre 2009, offrì ascolto e collaborazione continua ai familiari di Cucchi. Che da quel giorno, per cinque anni di fila, è stato loro accanto confidando che fosse fatta giustizia, forse sussurrando loro parole di speranza in un abisso di sconforto.
Senatore Manconi, oggi la sentenza di appello ci ha detto che Stefano Cucchi è semplicemente morto. Non è colpa di nessuno. Come vive questa sentenza?
Io e i miei collaboratori viviamo dopo anni di lavoro e di vicinanza a Ilaria, sorella di Stefano, momenti di profonda angoscia. Vorrei poter distinguere tra piano politico e personale, ma in questo caso i piani si sovrappongono.
 Il paradosso logico di questa sentenza è evidente. In primo grado si stabilì che Cucchi morì per incuria dei medici a causa di un ricovero provocato da un pestaggio. Oggi si dice quindi che non ci fu incuria né pestaggio. Perché Stefano Cucchi è morto quindi?
Già la sentenza di primo grado lasciò tutti profondamente insoddisfatti perché si prendeva atto che ai danni di Stefano fosse svenuto un pestaggio. Era stato accertato che dopo l’arresto Cucchi aveva subito violenze. Era stato stabilito che la morte di Stefano Cucchi era collegata alla privazione della sua libertà, e agli abusi che erano maturati nel corso di quella deprivazione.
Ma ora di tutto questo non resta traccia: morì per caso.
Tutti devono sapere qualcosa di incontestabile. Dev`essere detto con chiarezza che nella migliore delle ipotesi Stefano Cucchi è stato abbandonato. Nel migliore caso possibile di questa tragedia, nessuno potrà mai negare che Stefano Cucchi è stato lasciato morire. Lo hanno lasciato morire perché nessuno, nessuno ne ha impedito il decadimento, nessuno ne ha compreso i bisogni, nessuno lo ha assistito come meritava. Stefano è morto d`abbandono, come minimo. Non è comunque un`enorme sconfitta dello Stato italiano? Io e Valentina Calderone abbiamo ricostruito minuto per minuto il calvario di Stefano. Ha attraversato dodici luoghi dello Stato: due caserme, celle di sicurezza, pronto soccorso. Ha incontrato oltre cento persone in questo cammino. E nessuno di loro, nessuno di questi oltre cento individui ha voluto prestargli soccorso, tendere una mano verso di lui, coglierne il grido di dolore.
Ci vollero delle fotografie crude, quasi oscene, che ne mostravano le carni martoriate, affinché si cominciasse a parlare di Stefano Cucchi. È davvero questa l`unica maniera di suscitare attenzione verso casi come questo? Dovere creare scandalo, dovere mettere in pubblica piazza il dolore, in nome di un sentimento di giustizia che resta quasi sempre inevaso?
Ricordo che la vicenda di Stefano Cucchi cominciò quando Ilaria, sua sorella, ci disse che c`erano delle foto scattate a suo fratello in obitorio. Immagini terribili, strazianti, eloquenti. Quando Ilaria ce le consegnò, le dicemmo che secondo noi dovevano essere rese pubbliche. Ma che questa scelta spettava solo ai familiari di Stefano perché sarebbe stata terribile. Stefano sarebbe stato esposto di nuovo, dopo quella morte, a un nuovo oltraggio. Loro ci risposero: ‘Decidete voi’.
Fu dunque vostra la decisione di renderle pubbliche?
No, noi respingemmo quella responsabilità. Era una loro decisione. Una volta presa, non si sarebbe potuti più tornare indietro. Alla fine decisero di farlo. E tutti conoscemmo il caso Cucchi perché loro, i suoi familiari, furono costretti a questo terribile atto di autolesionismo morale.
Non trova vergognoso che una famiglia debba vivere questo abisso di sofferenza, di violenza autoinflitta nella speranza di avere una qualche giustizia?
 Ciò che è accaduto a Stefano, è successo a molti altri. E si ripete, uguale a se stesso, ogni giorno. Dico ogni giorno. Un labirinto di angoscia, indifferenza, e sofferenze inaudite che comincia e finisce con la morte. È finita con la morte anche oggi. E dopo l`autopsia, il certificato di morte dice che Stefano, insieme agli altri Stefano Cucchi cui siamo vicini, è morto perché vittima di un sistema malato. Un sistema carcerario che produce morte, violenza e abiezione.

Ne Parlano