“La sua funzione nell’Italia repubblicana è stata molto alta, rilevante, incisiva. Marco Pannella è stato in tante circostanze il sale della politica italiana. Ci ha provocato, ci ha tenuti svegli, ci ha incitato e ci ha messi davanti ai grandi problemi del mondo: dalla necessità di abolire la pena di morte all’urgenza di far cessare le mutilazioni genitali femminili”. Così il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda interviene nell’aula del Senato nel corso della commemorazione della scomparsa di Marco Pannella.
Tra tutte le battaglie di Pannella, Zanda ricorda quella contro il sovraffollamento delle carceri italiane “particolarmente nobile, disinteressata e significativa”.
“Negli ultimi due anni l’Italia, anche sorretta dal toccante messaggio al Parlamento del presidente Napolitano, ha fatto molto per cancellare quell’emergenza” per cui era stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo” e per restituire dignità ad esseri umani chiusi l’uno sull’altro nelle celle delle nostre carceri. È per il grande lavoro del Governo e di tanti, bravissimi, operatori carcerari, che è drasticamente diminuita la popolazione dei detenuti ed è fortemente aumentato il numero degli ammessi a quelle misure alternative al carcere che producono meno recidive e più sicurezza. Sono così venute meno le ragioni della condanna della Corte e all’Italia è stato restituito il rispetto della comunità internazionale”.
“Il ministro Orlando ha detto che quel poco o molto che l’Italia ha potuto fare per rendere più umane le nostre carceri non sarebbe mai stato realizzato senza la spinta di due persone: una è Papa Francesco e l’altra è Marco Pannella. Pannella avrebbe apprezzato questo leale e meritato riconoscimento da parte del Governo. Ma non avrebbe perso l’occasione per dirci, con la sua ben nota intransigenza, che il nostro lavoro sulle carceri non è finito e che non dobbiamo fermarci sino a quando non avremo pienamente rispettato il dettato costituzionale che impone che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Nella intransigenza nella difesa dei diritti delle persone che nessuno mai difende – conclude Zanda -, c’è la radice non solo del carisma di cui Marco ha goduto in vita, ma anche della larga e sincera commozione che ha accompagnato la sua malattia e la sua scomparsa”.