Ora che la ‘Buona scuola’ è legge, comincia una nuova fase di applicazione e monitoraggio della riforma, ed è il caso di sottolineare, tra i vari fattori positivi, quanto sia importante che anche il nostro Paese abbia finalmente una scuola che promuova, nei propri piani formativi, i princìpi di educazione alla parità di genere e dunque di prevenzione delle violenze e delle discriminazioni. Princìpi che sono entrati a far parte della riforma dando seguito a quanto previsto in materia già dalle nostre leggi, dalla nostra Costituzione e dal più avanzato diritto europeo. Quando abbiamo approvato la Convenzione di Istanbul, due anni fa, lo abbiamo fatto all`unanimità, riconoscendo in quel testo una fondamentale piattaforma sociale e culturale in cui la violenza sulle donne viene esplicitamente concepita come discriminazione e violazione dei diritti umani basata sul genere, cioè su quei «ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini».
La scuola può essere fondamentale per superare il modello culturale maschilista, che non concepisce le donne in posizioni di pari potere, nel riconoscimento della differenza di genere, anche nella famiglia, dove si riproduce spesso una concezione dei rapporti fondata sulla gerarchia e sul possesso. E per dire basta all`educazione ai luoghi comuni, come quelli, ancora molto diffusi, secondo i quali se un ragazzo piange, oppure ama cucinare, è una «femminuccia», e se una bambina vuole giocare a calcio, o alle costruzioni, è una «maschiaccia».
Educatrici ed educatori sanno di cosa stiamo parlando, sono temi che affrontano ogni giorno e che ora potranno affrontare con migliori metodi e competenze, utilizzando standard internazionali e attuando le necessarie forme di coinvolgimento dei genitori e di eventuali altri attori del territorio. E a sapere di cosa parliamo sono soprattutto le giovani donne che hanno provato, sulla propria pelle, cosa vuol dire crescere in un mondo che non sa riconoscere la piena parità tra donne e uomini. Lo ha detto bene l`attrice Emma Watson, giovane Hermione nella saga di Harry Potter, quando, intervenendo quasi un anno fa all`Assemblea Generale dell`Onu per il lancio della campagna Heforshe, di UnWomen, ha detto: «Ho cominciato a mettere in dubbio le supposizioni basate sul genere tanto tempo fa. Quando avevo 8 anni ero confusa dal fatto che mi definissero dispotica perché volevo dirigere le recite che allestivamo per i nostri genitori; ma ai maschi non succedeva. Quando a 14 anni ho cominciato ad essere sessualizzata da certi media. Quando a 15 anni le mie amiche hanno cominciato ad abbandonare gli sport che amavano perché non volevano apparire muscolose. Quando a 18 anni i miei amici non erano capaci di esprimere i loro sentimenti». Ecco, forse ascoltando con attenzione testimonianze come queste si potrebbe avere una visione un po` più ampia delle ragioni delle donne, e degli uomini amici delle donne, che non ci stanno a farsi ingabbiare dal modello patriarcale, sessista e omofobo con cui il nostro Paese sta facendo ancora í conti, pagando un grave ritardo culturale e politico.
Oggi abbiamo finalmente avviato la costruzione di una scuola che oltre a formare competenze e abilità si pone l`obiettivo di rafforzare il proprio ruolo in termini di nuovo patto educativo, in cui la differenza di genere sia riconosciuta come risorsa e la lotta alle discriminazioni come un passaggio chiave per realizzare una piena cittadinanza per tutti, donne e uomini. Trovo che questa sia stata una scelta politica seria e responsabile, portata avanti – e da portare avanti – nel nome del confronto e del dialogo, e riconoscendo pienamente il ruolo che hanno studenti, famiglie e insegnanti, in questa battaglia di civiltà.

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